Pierre-Auguste Renoir (1841 –
1919), Bal au Moulin de la Galette (1876); olio su
tela (cm.131 x cm.175), Parigi, Musée d’Orsay.
Le Moulin de la Galette, che doveva il suo nome a un dolcetto offerto gratuitamente all’ingresso, era un famosissimo locale di Montmartre, una balera, esattamente, con una pista da ballo all’aperto, contornata da un giardino alberato, e con la pedana per l’orchestra posta in un’ampia tettoia agricola, convenientemente ristrutturata.
D’altronde Monmartre era un abitato periferico che si stava conformando come vero e proprio quartiere su un area, una volta agricola, meta abituale dei pittori impressionisti alla ricerca di scorci di campagna da dipingere en plein air. Ma dicevo, la sala da ballo Moulin de la Galette era un popolarissimo ritrovo di appassionati ballerini e di spensierati vitaio, specialmente nei giorni festivi.
Il dipinto, acquistato dall’amico
Gustave Caillebotte, benestante ingegnere navale, brillante collezionista e
straordinario pittore anche lui, fu esposto alla terza mostra degli
impressionisti del 1877, ed è un'efficacissima istantanea della vita parigina
del tempo, oltre che un documento prezioso e significativo dell’epoca felice e
fiduciosa del progresso, ignara degli sviluppi disastrosi che seguiranno nel
breve giro d’un trentennio.
Del soggetto esiste una versione antecedente, eseguita sul posto, con lo studio dei personaggi e dell’intero contesto scenico, nel quale sono già fissati tutti i parametri tonali e compositivi, che verranno poi perfezionati e definiti nel meraviglioso Bal au Moulin de la Galette, realizzato completamente in studio o, per meglio dire, nella casa con giardino che Renoir aveva appositamente affittato a Monmartre.
L’opera è una vera e propria celebrazione della fugace leggerezza dell’esistenza, ove una varia umanità, festaiola e danzante, è colta in un ordinario momento di svago in cui ci sembra di sentire il chiacchiericcio degli avventori e la musica dell’orchestra, il tintinnio dei bicchieri e le risatine civettuole delle ragazze, in uno studiatissimo scorcio che dà il senso dell’affollamento e del moto delle coppie danzanti nella pista inondata di uno scintillio di luci.
Difatti tutto sembra briosamente ondeggiante, in un discreto effetto di profondità, rafforzato con l’accorgimento della tavolata di personaggi in primo piano, colti in una serie di atteggiamenti vivi e naturali.
Tra i personaggi più vicini si possono
riconoscere la modella Estelle, col vestito a righe e l’attrice Jeanne Samary,
in piedi e alle sue spalle. Mentre, tra i ballerini, si distinguono il pittore
Pedro Vidal, dal cappello di feltro nero, in coppia con Margot Legrand, che
guardano verso l’osservatore.
Lo scrittore Octave Mirbeau ha
giustamente notato come Renoir non abbia mai dipinto un quadro triste.
Bal au Moulin de la Galette, come ha avuto modo di commentare il professor Zeri, è il miglior esempio del carattere solare di Renoir. “È un inno alla gioventù e alla felicità, espresso con colori puri e la tavolozza chiara degli impressionisti.”
LA RIVOLUZIONE IMPRESSIONISTA
L’impressionismo è stato fondamentalmente un movimento
neoromantico, generato da un gruppo di pittori, convinti e ostinati
propugnatori delle loro idee, tra i quali, i più rappresentativi e impegnati,
sono stati Monet, Renoir, Pissarro e Degas.
Essi partivano dal rifiuto dell’arte ufficiale concepita e
consumata nel circolo vizioso dei Salon, massima istituzione artistica e
mondana della Parigi imperiale. Si trattava di mostre statali, ove le opere
esposte erano preventivamente selezionate da una giuria, la quale ammetteva
soltanto composizioni ripetitive e retoriche, ancorate alla tradizione
accademica, prodotte per compiacere il gusto artefatto di un pubblico
conformista e retrogrado, respingendo pertanto i lavori più innovativi.
Per ovviare alle proteste degli artisti puntualmente esclusi dal
Salon, nel 1963 Napoleone III aveva fatto allestire un Salon-Annexe,
subito battezzato spregiativamente Salon des Refusés, Salone
dei Rifiutati. Al Salon-Annexe del 1863, Édouard Manet, primo vero
padre spirituale dell’impressionismo, aveva presentato la sua
provocatoria Colazione sull’erba, un enorme sasso lanciato nello
stagno dell’immobilismo artistico parigino, l’indiscusso manifesto del nuovo
corso, nello scandalo del pubblico più abitudinario e anche nella stizza di artisti
di larghe vedute come Delacroix. Lo stato di cose non era cambiato più di tanto
nemmeno nel tempo immediatamente successivo alla disfatta dell’imperatore a
Sedan.
Cosicché, il gruppo, variegato e ideologicamente eterogeneo,
tagliato fuori dal grande giro dell’arte di sistema, si riuniva
puntualmente al Caffè Guerbois (in seguito anche al Caffè
Nouvelle Athène), quasi sempre dopo il tramonto, quando non si poteva più
dipingere. Il gruppo di Batignolles, dal quartiere ove era situato
il Caffè Guerbois, aveva organizzato la prima mostra degli “artisti
indipendenti”, allestita nei locali dello studio fotografico del celebre
Nadar, e inaugurata il 25 aprile del 1874. Ovviamente l’iniziativa, cui
parteciparono trenta pittori, che esposero trecento quadri, era stato un
completo insuccesso, con un afflusso di visitatori assai deludente. Il
giornalista e critico Louis Leroy aveva recensito la manifestazione con un
articolo sul giornale satirico lo Charivari, in cui fingeva di
visitare la mostra in compagnia di un affermato vecchio pittore, al quale
tentava di spiegare il senso dei dipinti esposti, utilizzando spesso il termine
“impressioni” deducendolo dal famoso quadro di Monet e servendosene infine per
il titolo da dare al sarcastico pezzo: “Mostra degli Impressionisti.”
Da allora gli artisti del gruppo, che non perseguivano fini
politici, sono stati universalmente conosciuti come impressionisti.
La visione impressionista può essere riassunta in alcuni princìpi
stilistici generali che sono: la presa diretta e la percezione momentanea del
reale; l’indifferenza del soggetto con preferenza per il paesaggio e per le
scene di genere; la pittura all’aria aperta (en plein air); la
predilezione per il colore e per la luce sul disegno. Sebbene ogni
impressionista ha interpretato in modo sempre molto soggettivo questi principi
generali. Alcuni come Degas hanno rivalutato e ritenuto essenziale la funzione
del disegno.
Per come la penso io, quella impressionista è da considerarsi una
vera e propria rivoluzione, non solo artistica ma anche culturale - nel
significato più ampio del termine -, dato che la pittura, con l’impressionismo,
diviene un mezzo espressivo diffuso e democratico, facilitato dal non
trascurabile fatto che i colori, prodotti industrialmente, sono poco costosi,
facilmente reperibili e pronti all’uso. Ma la rivoluzione impressionista
consiste anche e soprattutto nel rinnovato modo di approcciarsi al mondo,
scoprendo la poesia nell’armoniosità ordinaria della natura o nei contesti di
vita più scontati, documentando con metodo serio la grande commedia umana che
verrà chiamata appresso Belle Époque, coi sui slanci mondani, la sua banale
quotidianità, la sua noia e le sue piccole miserie.
© G. LUCIO FRAGNOLI
BIBLIOGRAFIA:
Cricco – Di Teodoro, Itinerario
nell’arte vol.III, 2012 Zanichelli, Bologna;
Il post sopra riportato ha esclusivo scopo divulgativo ed ed è pertanto rivolto agli studenti e agli appassionati.
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