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mercoledì 24 marzo 2021

L' ASSENZIO di EDGAR DEGAS

 

ANALISI DELL’OPERA

 


Edgar Degas (1834 – 1917), L’assenzio (1875-1876); olio su tela (cm.92x cm.68), 

Parigi, Musée d’Orsay.


Nell’opera Degas dimostra tutta la sua sensibilità verso gli spaccati di vita più dimessi del suo tempo. E infatti con L’assenzio ci conduce all’interno del Café Nouvelles-Athènes, uno degli abituali ritrovi degli impressionisti. Dentro il famoso locale, dagli arredi ordinari e grossolani, una donna dal fisico esile e sfiorito, dall’aspetto sciatto, è seduta ad uno dei tavolini, sospesa in una penosa espressione di abbandono, con davanti un bicchierino di assenzio, che sembra essere l’unico rimedio alla sua solitudine e al suo sconforto. 

Seduto allo stesso tavolo della donna (che ordinariamente e , secondo me a torto, viene identificata come una meretrice), vi è un altro personaggio, corpulento e dall’aspetto trasandato, che non si cura della presenza della poveraccia, e fuma la sua pipa con lo sguardo perso in chissà quali altri sconsolati pensieri, alticcio e solitario anche lui, con davanti il suo bicchiere di vino.

Degas, in buona sostanza, vuole mostrarci anche il lato più opaco della sua epoca splendente e fiduciosa nel progresso, un angolo assai meno allegro e brillante della sua Parigi luminosa e mondana, popolata di nottambuli e ballerine, in cui pure sopravvive un’umanità molto meno chiassosa allegra e spensierata, dalla anonima e tormentata esistenza.  

Il quadro, che fu esposto alla seconda mostra degli impressionisti, nel 1876, insieme ad altri ventidue quadri, ha un inusitato e dissimmetrico schema compositivo, basato su un impianto prospettico fortemente accidentale, come se il punto di osservazione fosse interno allo spazio dipinto e posizionato abbastanza in alto, per dare il senso di una vista imprevista quanto concreta e subitanea, pure se tutto ciò è in realtà ottenuto con una evidente accuratezza compositiva.

 

 

EDGAR DEGAS

 

Degas partecipò con convinzione alla prima mostra della Société anonyme des peintres, sculpteurs et graveurs, che riuniva un raggruppamento di coraggiosi artisti avversi all’accademismo che imperversava nei Salon. Essi, contro ogni tendenza classicista ed anche tradizionalmente romantica, erano piuttosto interessati alla rappresentazione veridica e subitanea di contesti attuali e ordinari. Di quel gruppo facevano parte Claude Monet (1840-1926), Auguste Renoir (1841-1919), Camille Pissarro (1830-1903), Berhe Morisot (1841-1895) ed Alfred Sisley (1839-1899). Pur condividendone moltissime idee, Degas ci tenne sempre a definirsi un “realista” piuttosto che un impressionista, dato che egli sosteneva che la percezione momentanea e sentimentale della realtà non ne faceva cogliere appieno la complessità ad essa propria, che poteva essere capita e riprodotta colo con un lavoro molto più lungo ed accurato di osservazione e di riproduzione. Per tale motivo Degas indaga il modo che gli gira intorno soprattutto con lo spirito del fotografo, come il suo contemporaneo Caillebotte, ma con inquadrature inaspettate cui aggiunge altri sapienti accorgimenti visivi e rimandi alla pittura giapponese. Le sue viste sono studiatamente casuali, talvolta addirittura spericolate, per un effetto di immediato e preciso racconto del reale: è il mondo visto dal buco della serratura, come aveva egli stesso ci ha spiegato.     

 

LA RIVOLUZIONE IMPRESSIONISTA

 

L’impressionismo è stato fondamentalmente un movimento neoromantico,  generato da un gruppo di pittori, convinti e ostinati propugnatori delle loro idee, tra i quali, i più rappresentativi e impegnati, sono stati Monet, Renoir, Pissarro e Degas.

Essi partivano dal rifiuto dell’arte ufficiale concepita e consumata nel circolo vizioso dei Salon, massima istituzione artistica e mondana della Parigi imperiale. Si trattava di mostre statali, ove le opere esposte sono preventivamente selezionate da una giuria, la quale ammetteva soltanto composizioni ripetitive e retoriche, ancorate alla tradizione accademica, prodotte per compiacere il gusto artefatto di un pubblico conformista e retrogrado, respingendo i lavori più innovativi.

Per ovviare alle proteste degli artisti puntualmente esclusi dal Salon, nel 1963 Napoleone III aveva fatto allestire un Salon-Annexe, subito spregiativamente battezzato Salon des RefusésSalone dei Rifiutati.  Al Salon-Annexe del 1863, Édouard Manet, primo vero padre spirituale dell’impressionismo,  aveva presentato la sua provocatoria Colazione sull’erba, un enorme sasso lanciato nello stagno dell’immobilismo artistico parigino, l’indiscusso manifesto del nuovo corso, nello scandalo del pubblico più abitudinario ed anche nella stizza di artisti di larghe vedute come Delacroix. Lo stato di cose non era cambiato più di tanto nemmeno nel tempo immediatamente successivo alla disfatta dell’imperatore a Sedan.

Cosicché, il gruppo, variegato e ideologicamente eterogeneo, tagliato fuori dal grande giro dell’arte di sistema, si riuniva puntualmente al Caffè Guerbois  (in seguito anche al Caffè Nouvelle Athène ), quasi sempre dopo il tramonto, quando non si poteva più dipingere. Il gruppo di Batignolles, dal quartiere ove era situato il  Caffè Guerbois, aveva organizzato la prima mostra degli “artisti indipendenti”, allestita nei locali dello studio fotografico del celebre Nadar, ed inaugurata il 25 aprile del 1874. Ovviamente l’iniziativa, cui parteciparono trenta pittori, che esposero trecento quadri, era stato un completo insuccesso, con un afflusso di visitatori assai deludente. Il giornalista e critico Louis Leroy aveva recensito la manifestazione con un articolo sul giornale satirico lo Charivari, in cui fingeva di visitare la mostra in compagnia di un affermato vecchio pittore, al quale tentava di spiegare il senso dei dipinti esposti, utilizzando spesso il termine “impressioni” deducendolo dal famoso quadro di Monet e servendosene infine per il titolo da dare al sarcastico pezzo: “Mostra degli Impressionisti.”

Da allora gli artisti del gruppo, che non perseguivano fini politici, sono stati universalmente conosciuti come impressionisti.

La visione impressionista può essere riassunta in alcuni princìpi stilistici generali che sono: la presa diretta e la percezione momentanea del reale; l’indifferenza del soggetto con preferenza per il paesaggio e per le scene di genere; la pittura all’aria aperta (en plein air); la predilezione per il colore e per la luce sul disegno. Sebbene ogni impressionista ha interpretato in modo sempre molto soggettivo questi principi generali. Alcuni come Degas hanno rivalutato e ritenuto essenziale la funzione del disegno.


Per come la penso io, quella impressionista è da considerarsi una vera e propria rivoluzione, non solo artistica ma anche culturale - nel significato più ampio del termine -, dato che la pittura, con l’impressionismo, diviene un mezzo espressivo diffuso e democratico, facilitato dal non trascurabile fatto che i colori, prodotti industrialmente, sono poco costosi, facilmente reperibili e pronti all’uso. Ma la rivoluzione impressionista consiste anche e soprattutto nel rinnovato modo di approcciarsi al mondo - come fa esattamente Degas - scoprendo la poesia nell’armoniosità ordinaria della natura o nei contesti di vita più scontati, documentando con metodo serio la grande commedia umana che verrà chiamata appresso Belle Époque, coi sui slanci mondani, la sua banale quotidianità, la sua noia e le sue piccole miserie. 

 

 

 




© G. LUCIO FRAGNOLI

 

 

BIBLIOGRAFIA:

Cricco – Di Teodoro, Itinerario nell’arte vol.III, 2012 Zanichelli, Bologna;

Federico Zeri, Cento Dipinti, Degas, Lezione di danza, 1998 RCS Libri S.p.A. – Milano;

Piero Adorno, L’arte italiana (dal Settecento ai nostri giorni), 1994 Casa Editrice G. D’Anna, Messina-Firenze. 


IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.

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