ANALISI DELL’OPERA
Edgar Degas (1834 – 1917), L’assenzio (1875-1876); olio su tela (cm.92x cm.68),
Parigi, Musée d’Orsay.
Nell’opera Degas dimostra tutta
la sua sensibilità verso gli spaccati di vita più dimessi del suo tempo. E infatti con L’assenzio ci conduce all’interno del Café
Nouvelles-Athènes, uno degli abituali ritrovi degli impressionisti. Dentro
il famoso locale, dagli arredi ordinari e grossolani, una donna dal fisico
esile e sfiorito, dall’aspetto sciatto, è seduta ad uno dei tavolini, sospesa
in una penosa espressione di abbandono, con davanti un bicchierino di assenzio,
che sembra essere l’unico rimedio alla sua solitudine e al suo sconforto.
Seduto allo stesso tavolo della donna (che ordinariamente e , secondo me a torto, viene identificata come una meretrice), vi è un altro personaggio, corpulento e dall’aspetto trasandato, che non si cura della presenza della poveraccia, e fuma la sua pipa con lo sguardo perso in chissà quali altri sconsolati pensieri, alticcio e solitario anche lui, con davanti il suo bicchiere di vino.
Degas, in buona sostanza, vuole
mostrarci anche il lato più opaco della sua epoca splendente e fiduciosa nel
progresso, un angolo assai meno allegro e brillante della sua Parigi luminosa e
mondana, popolata di nottambuli e ballerine, in cui pure sopravvive un’umanità
molto meno chiassosa allegra e spensierata, dalla anonima e
tormentata esistenza.
Il quadro, che fu esposto alla
seconda mostra degli impressionisti, nel 1876, insieme ad altri ventidue
quadri, ha un inusitato e dissimmetrico schema compositivo, basato su un
impianto prospettico fortemente accidentale, come se il punto di osservazione
fosse interno allo spazio dipinto e posizionato abbastanza in alto, per dare il
senso di una vista imprevista quanto concreta e subitanea, pure se tutto ciò è
in realtà ottenuto con una evidente accuratezza compositiva.
EDGAR DEGAS
Degas partecipò con convinzione
alla prima mostra della Société anonyme des peintres, sculpteurs et
graveurs, che riuniva un raggruppamento di coraggiosi artisti avversi
all’accademismo che imperversava nei Salon. Essi, contro ogni tendenza
classicista ed anche tradizionalmente romantica, erano piuttosto interessati
alla rappresentazione veridica e subitanea di contesti attuali e ordinari. Di
quel gruppo facevano parte Claude Monet (1840-1926), Auguste
Renoir (1841-1919), Camille Pissarro (1830-1903), Berhe
Morisot (1841-1895) ed Alfred Sisley (1839-1899). Pur
condividendone moltissime idee, Degas ci tenne sempre a definirsi un “realista”
piuttosto che un impressionista, dato che egli sosteneva che la percezione
momentanea e sentimentale della realtà non ne faceva cogliere appieno la
complessità ad essa propria, che poteva essere capita e riprodotta colo con un
lavoro molto più lungo ed accurato di osservazione e di riproduzione. Per tale motivo
Degas indaga il modo che gli gira intorno soprattutto con lo spirito del
fotografo, come il suo contemporaneo Caillebotte, ma con
inquadrature inaspettate cui aggiunge altri sapienti accorgimenti visivi e
rimandi alla pittura giapponese. Le sue viste sono studiatamente casuali,
talvolta addirittura spericolate, per un effetto di immediato e preciso
racconto del reale: è il mondo visto dal buco della serratura, come aveva egli
stesso ci ha spiegato.
LA RIVOLUZIONE
IMPRESSIONISTA
L’impressionismo è stato
fondamentalmente un movimento neoromantico, generato da un gruppo di
pittori, convinti e ostinati propugnatori delle loro idee, tra i quali, i più
rappresentativi e impegnati, sono stati Monet, Renoir, Pissarro e Degas.
Essi partivano dal rifiuto
dell’arte ufficiale concepita e consumata nel circolo vizioso dei Salon,
massima istituzione artistica e mondana della Parigi imperiale. Si trattava di
mostre statali, ove le opere esposte sono preventivamente selezionate da una
giuria, la quale ammetteva soltanto composizioni ripetitive e retoriche,
ancorate alla tradizione accademica, prodotte per compiacere il gusto artefatto
di un pubblico conformista e retrogrado, respingendo i lavori più innovativi.
Per ovviare alle proteste degli
artisti puntualmente esclusi dal Salon, nel 1963 Napoleone III aveva fatto
allestire un Salon-Annexe, subito spregiativamente battezzato Salon
des Refusés, Salone dei Rifiutati. Al Salon-Annexe del
1863, Édouard Manet, primo vero padre spirituale dell’impressionismo,
aveva presentato la sua provocatoria Colazione sull’erba, un enorme
sasso lanciato nello stagno dell’immobilismo artistico parigino, l’indiscusso
manifesto del nuovo corso, nello scandalo del pubblico più abitudinario ed
anche nella stizza di artisti di larghe vedute come Delacroix. Lo stato di cose
non era cambiato più di tanto nemmeno nel tempo immediatamente successivo alla
disfatta dell’imperatore a Sedan.
Cosicché, il gruppo, variegato e
ideologicamente eterogeneo, tagliato fuori dal grande giro dell’arte di
sistema, si riuniva puntualmente al Caffè Guerbois (in
seguito anche al Caffè Nouvelle Athène ), quasi sempre dopo il
tramonto, quando non si poteva più dipingere. Il gruppo di Batignolles,
dal quartiere ove era situato il Caffè Guerbois, aveva organizzato la
prima mostra degli “artisti indipendenti”, allestita nei locali dello
studio fotografico del celebre Nadar, ed inaugurata il 25 aprile del 1874.
Ovviamente l’iniziativa, cui parteciparono trenta pittori, che esposero
trecento quadri, era stato un completo insuccesso, con un afflusso di
visitatori assai deludente. Il giornalista e critico Louis Leroy aveva
recensito la manifestazione con un articolo sul giornale satirico lo Charivari,
in cui fingeva di visitare la mostra in compagnia di un affermato vecchio
pittore, al quale tentava di spiegare il senso dei dipinti esposti, utilizzando
spesso il termine “impressioni” deducendolo dal famoso quadro di Monet e
servendosene infine per il titolo da dare al sarcastico pezzo: “Mostra degli
Impressionisti.”
Da allora gli artisti del gruppo,
che non perseguivano fini politici, sono stati universalmente conosciuti
come impressionisti.
La visione impressionista può
essere riassunta in alcuni princìpi stilistici generali che sono: la presa
diretta e la percezione momentanea del reale; l’indifferenza del soggetto con
preferenza per il paesaggio e per le scene di genere; la pittura all’aria
aperta (en plein air); la predilezione per il colore e per la luce sul
disegno. Sebbene ogni impressionista ha interpretato in modo sempre molto
soggettivo questi principi generali. Alcuni come Degas hanno rivalutato e
ritenuto essenziale la funzione del disegno.
Per come la penso io, quella impressionista è da considerarsi una vera e
propria rivoluzione, non solo artistica ma anche culturale - nel significato
più ampio del termine -, dato che la pittura, con l’impressionismo, diviene un
mezzo espressivo diffuso e democratico, facilitato dal non trascurabile fatto
che i colori, prodotti industrialmente, sono poco costosi, facilmente
reperibili e pronti all’uso. Ma la rivoluzione impressionista consiste anche e
soprattutto nel rinnovato modo di approcciarsi al mondo - come fa
esattamente Degas - scoprendo la poesia nell’armoniosità ordinaria della
natura o nei contesti di vita più scontati, documentando con metodo serio la
grande commedia umana che verrà chiamata appresso Belle Époque, coi sui slanci
mondani, la sua banale quotidianità, la sua noia e le sue piccole
miserie.
© G. LUCIO FRAGNOLI
BIBLIOGRAFIA:
Cricco – Di Teodoro, Itinerario
nell’arte vol.III, 2012 Zanichelli, Bologna;
Federico Zeri, Cento Dipinti,
Degas, Lezione di danza, 1998 RCS Libri S.p.A. – Milano;
Piero Adorno, L’arte italiana
(dal Settecento ai nostri giorni), 1994 Casa Editrice G. D’Anna,
Messina-Firenze.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
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