Anton Raphael Mengs (1728 Ústí nab Labem, Boemia - 1779 Roma), Il Parnaso (1760 - 61), affresco, cm 300 x 600, Villa Torlonia già Albani, Roma.
ANALISI DELL'OPERA
Nell’affresco Il Parnaso,
all’interno della Galleria nobile di Villa Albani, Mengs trascrive
pittoricamente i principi fondamentali del vero stile teorizzati
da Johann Joachim Winckelmann, col quale il pittore boemo era intellettualmente
in sintonia e in stretto rapporto di amicizia. Il primo evidente elemento stilistico
presente nell’opera consiste nell’ordine dispositivo dei personaggi, messi
intorno alla figura centrale di Apollo, dio della musica e personificazione stessa
della poesia, che ne scandisce un calcolato equilibrio compositivo, con cinque personaggi
sistemati alla sua destra e cinque collocati alla sua sinistra, tutti sospesi
in pose composte e caratterizzanti, cui si aggiunge una sobria e naturale gestualità.
Apollo, anche dio del giusto ordine e
della purezza, capo delle muse, è raffigurato nudo – in una postura che rimanda
alla statuaria policletea –. Egli stringe una corona d’alloro nella mano destra e regge
una lira con la mano sinistra. Alle sue spalle, steso in terra, c’è un dio
fluviale – Scamandro, presumibilmente, cui è dedicato il XXI
canto dell’Iliade – il quale protegge la fonte detta di Castalia,
una ninfa trasformata in sorgente dal dio Apollo, la cui acqua ha il potere di
ispirare il genio della poesia a coloro che ne bevono o che soltanto ne ascoltano
il gorgoglio. Alla sua sinistra, invece, siede Mnemòsine, che unitasi con Zeus procreò le nove muse: Clio,
la glorificante, musa del canto epico e della storiografia, Euterpe, la rallegrante, musa
della musica dei flauti, Talia, la festosa, musa
della commedia, Melpomene, la cantante, musa della
tragedia, Tersicore, colei che gode della danza, musa
della danza e della lirica corale, Erato, suscitatrice
di nostalgie, musa della poesia amorosa, Urania, la
celeste, musa dell’astronomia, Polinnia, ricca di inni,
musa del canto sacro, e Calliope, bella voce, musa del
canto eroico ed elegiaco.
Alle spalle di Mnemòsine c’è
Erato, coronata d’alloro, e seduta ai suoi piedi c’è la
glorificante Clio, mentre appena più in là Tersicore
danza con Talia. Disposte in modo abilmente bilanciato alla
sinistra di Apollo ci sono le figure delle altre cinque muse. Seduta in terra c’è
Urania che studia la sfera celeste, dietro cui c’è Melpomene,
con una mano poggiata su una clava. Dietro Melpomene si scorge
Euterpe, la rallegrante, coi suoi flauti. Poi ci sono la riflessiva
Polinnia e la bella voce Calliope, col braccio levato in alto.
Dietro i personaggi, come a creare una quinta scenica ci sono alcuni alberi di alloro, la pianta cara al dio, dietro i quali si può osservare un paesaggio montano e verdeggiante, funzionale alla composizione, tipicamente neoclassico, sereno e ospitale, complice e benevolo, luminoso ed esteso in profondità. Nell’opera è visibile l’ammirazione dell’artista verso la pittura raffaellesca e l’antichità classica, fonte di eccelse virtù e di dotte metafore, non disgiunte dai genuini impulsi vitali dell’uomo.
Ma l’idea dominante che permea il dipinto è quella della ricerca di una nuova bellezza e della dichiarazione dell’assunto estetico più caro all’autore: l’ideale. «Con l’ideale» egli annotava, «intendo ciò che si vede soltanto con l’immaginazione, e non con gli occhi; così un ideale in pittura si fonda sulla selezione delle cose più belle della natura, purificate da ogni imperfezione», quasi parafrasando l’idea di bello enunciata a chiare lettere da Raffaello: «Il pittore ha l’obbligo di fare le cose non come natura le fa, ma come ella le dovrebbe fare.» Il soggetto dell’affresco, difatti, è anche una sorta di omaggio al Parnaso dell’Urbinate nella Stanza della Segnatura.
Il Parnaso di Megs anticipa e annuncia il
neoclassicismo, ne è in un certo modo il manifesto, sebbene non esprima completamente
la visione neoclassica che è, oltre che estetica, anche etica. Visione che è
compiutamente concretizzata nel Giuramento degli Orazi, primo e
autentico quadro totalmente
neoclassico.
(...) Più famoso ancora a
quell'epoca fu il Parnaso, un quadro più abile, che Anton
Raphael Mengs eseguì nel 1761, per il salone della Villa in cui il cardinal
Albani conservava la sua collezione di sculture antiche. È quasi certo che Winckelmann,
che era il bibliotecario del cardinale ed era amico di Mengs (da lui
considerato "il maggior artista del suo tempo e forse anche dei tempi a
venire") ha contribuito alla concezione di quest'opera, in cui si
ritrovano tante idee dei teorici e artisti del primo neoclassicismo.
Perseguendo la "nobile semplicità e la quieta grandezza"
esaltate da Winckelmann, Mengs evitò gli effetti coloristici, le soluzioni
compositive strettamente intrecciate, le profonde fughe in profondità e gli
accorgimenti illusionistici dei pittori barocchi: e per farlo capire
chiaramente mise a fianco del Parnaso due tondi dipinti a
colori più caldi, con chiaroscuro più deciso e una prospettiva a trompe l'oeil.
E in innumerevoli particolari esibì la sua erudizione. Se in astratto fosse
possibile possibile realizzare un capolavoro, questo ne sarebbe uno. (...)
Hugh Honour (Neoclassicismo)
Raffaello, Il Parnaso (1510-1511) affresco,
Stanza della Segnatura, Musei Vaticani, Roma.
Nicolas Poussin
(1594-1565) Il Parnaso, Museo del Prado, Madrid.
DIZIONARIO MITOLOGICO:
Apollo: divinità più
importante dopo Zeus, è nel dipinto raffigurato come dio della musica e della
poesia, che allieta i banchetti degli dei e che fa dimenticare le fatiche
quotidiane agli uomini. Secondo Esiodo, dal bellissimo Apollo discendono tutti
i cantori e i citaristi.
Parnaso: monte
della Focide, al quale si sarebbe ancorata l’arca di Deucalióne, durane il
diluvio universale, durato nove giorni e nove notti, assai simile a quello che
vide come protagonista Noè. Il Parnaso, che dominava il santuario di Apollo a
Delfi, era pertanto considerato sacro alle Muse.
Deucalióne: figlio di Prometeo, che lo aveva informato della volontà di Giove di voler purificare il mondo dall’umanità troppo corrotta, si costruì un arca in cui si chiuse con Pirra, col favore di Giove, riuscendosi infine a salvarsi insieme all’amata.
IL NEOCLASSICISMO
Il
neoclassicismo è lo stile che, nato a Roma, s’afferma a partire dal 1760/1770
circa, e che ha come antefatto culturale quel grande movimento di idee, noto
col termine di illuminismo. Gli illuministi, attraverso il libero pensiero, si
proposero di realizzare un mondo nuovo, governato da leggi ispirate
all’uguaglianza sociale, cancellando per sempre i privilegi del clero e di una
nobiltà inetta e in piena decadenza morale. La conseguenza storica
dell’illuminismo, furono prima la rivoluzione americana e poi la rivoluzione
francese. La rivoluzione francese nacque dal supremo disegno di creare una
società «stabile e armoniosa» per dirla con le parole di Isaiah Berlin «fondata
su principi immutabili: un sogno di perfezione classica...» I dogmi, il rigido assetto
sociale e gli arcaici privilegi dell’antico regime crollarono sotto la luce
della ragione e di un idealismo intransigente. Con la stessa forza
rivoluzionaria, il neoclassicismo segnò la fine del capriccioso, sensuale e gioioso
rococò.
Il
termine neoclassicismo, che fu coniato alla fine dell’Ottocento in senso
spregiativo, farebbe pensare a una corrente artistica di mero e convenzionale
rifacimento dell’arte greca e romana. Fu
al contrario un movimento parecchio innovativo e moderno, che mirò a compiere
un risorgimento delle arti, una rinnovata rifioritura artistica simile a
quella rinascimentale. Gli artisti e i teorici lo chiamavano semplicemente il vero
stile.
Un vento di trasformazione cominciava a soffiare nei salons parigini, rinfrescandone l’atmosfera chiusa e profumata, eliminando curve e codini rococò, soffiando via gli ornamenti delicatamente fragili: boccioli di rosa e conchiglie e cupidi incipriati con i sederini delicatamente imbellettati come le guance, tutte le figure della commedia dell’arte in posa e le altre squisite frivolezze e perversità che avevano fatto la delizia di una società di gusti difficili, ultrasofisticata… (Hugh Honour).
Il
teorico del vero stile fu Johann Joachim Winckelmann, il quale sosteneva
che bisognava “imitare” i grandi maestri antichi. Ma imitare non significava –
secondo il suo pensiero - copiare, bensì fare propri e utilizzare i modelli e i
canoni estetici degli artisti antichi, in un processo di produzione del nuovo e
del moderno. E infatti, il neoclassicismo è a tutti gli effetti uno stile
moderno, come moderna è la neoclassica estetica del sublime, che
si riassume in superamento della contemplazione, con un forte coinvolgimento
spirituale e sentimentale nel godimento della bellezza.
Il neoclassicismo nacque per reazione al rococò, ma divenne ben presto uno stile profondo, portatore di alti valori etici e morali, avversatore dei dogmi e dell’ignoranza, della superstizione e della dissolutezza. Il suo decadimento fu dovuto alla banalizzazione che ne fu fatta nel periodo napoleonico, ribassandolo a stile celebrativo e retorico, rappresentativo della grandeur imperiale. Cosa questa che favorì la graduale affermazione del romanticismo anche in chiave antifrancese. Molti pensano, sbagliando, che neoclassicismo e romanticismo siano due contrapposte e del tutto differenti correnti artistiche. Per come la penso io, il romanticismo fu l’evoluzione naturale del neoclassicismo, che aveva esaurito ben presto i suoi temi e la sua linfa innovativa. Sia l’uno che l’altro movimento procedettero insieme per un certo periodo ed ebbero molto in comune. Erano, in buona sostanza, quasi due facce della stessa medaglia, rappresentavano entrambe quel mondo e quella società moderna che stavano nascendo impetuosamente, e spesso una corrente sconfinava e si cibava dell’altra, o la negava con violenza, dimostrano implicitamente di riconoscerla come riferimento importante. Diversi erano però e i temi e la rappresentazione degli stati d’animo. Diversa era la visione dell’artista, che stava diventando l’unico libero padrone delle proprie idee e delle proprie creazioni.
© GIUSEPPE
LUCIO FRAGNOLI
Hugh Honour, Neoclassicismo, Einaudi, Torino,
1980.
Piero Adorno, L’arte italiana. Dal Settecento ai
nostri giorni, Vol. 3. Casa editrice G. D’Anna, Messina Firenze,1994.
G. C. Argan, Storia dell’arte italiana, Vol. 3°, 1993, Sansoni, Milano.
Autori Vari, Storia universale dell’arte. Il XX secolo. De Agostini, Novara,1991.
IL POST SOPRA RIPORTATO
HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI
STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
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