È nello stesso tempo il dipinto capolavoro e il testamento spirituale di Paul Gauguin, artista irrequieto e cerebrale, dallo stile complesso e ricercato.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di Paul Gauguin, Museum of
Fine Arts di Boston, Olio su tela (141x376 cm.)
LETTURA
DELL'OPERA
La realizzazione del quadro richiese quasi un mese di frenetico lavoro da parte dell'artista, che lo concepì come una sorta di testamento spirituale, riassumendovi il suo pensiero e i suoi progressi stilistici.
L'opera è pensata come un fregio o un
affresco, magari proveniente da un solenne edificio di una civiltà antica, con
gli angoli in alto scrostati, dove sono riportati il titolo e il nome
dell'autore. L'immagine può meglio essere letta da destra verso sinistra,
secondo un ideale arco parabolico, che simboleggia il tempo ciclico e il
cammino esistenziale (fanciullezza, giovinezza, vecchiaia), e che inizia dal
bambinello adagiato nell'angolo in basso, sulla destra, passa sulle mani del
personaggio del giovane messo in primo piano, e si conclude sul corpo della
vecchia che si tiene la testa tra le mani, in basso a sinistra. Il fanciullo
giace abbandonato a se stesso, nel disinteresse del cane e delle donne che lo
attorniano, una delle quali gli volta le spalle. È una citazione della natività
in una dimensione arcaica e primitiva. Il giovane messo in primo piano, e quasi
al centro della composizione, sta cogliendo un frutto, col significato di
cogliere, col frutto, la parte migliore della vita. Il gesto simboleggia anche
il peccato originale, che pure in questo caso si compie in un mondo remoto.
Dietro il giovane, una donna di spalle si passa una mano sulla testa e osserva
l'andare di due misteriose femmine vestite di rosso, che simboleggiano le
angosce e gli interrogativi che ci torturano. Sempre alle spalle del giovane in
primo piano, preceduto dalla probabile figura di una primordiale divinità,
emerge nell'aggrovigliata e quasi improbabile vegetazione esotica un
idolo. Sono i simboli delle ingannevoli e vacue credenze religiose. La vecchia,
rannicchiata su se stessa e con lo sguardo perso nel nulla, attende rassegnata
l'arrivo della morte, ignorata dalla giovane che le è vicina eppure dalla
ragazza che morde un frutto. Lo strano uccello bianco che ghermisce una
lucertola con le zampe simboleggia tristemente la vanità delle parole.
Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è un sicuramente un dipinto straordinario anche stilisticamente, dove il colore è usato in modo simbolico, innaturale e non descrittivo, contenuto in una linea chiara, elegante e sintetica, in una visione anch'essa simbolica e bidimensionale, che evoca meravigliosamente la pittura medioevale.
UNA CONSIDERAZIONE FINALE
Vorrei, però, per
concludere permettermi una veloce considerazione. Sono convinto che Gauguin,
aldilà dell'interpretazione che ne ho dato, non concepì il suo capolavoro per
dare delle risposte precise a tre precise domande sulla particolare verità
della condizione umana. Nella prefazione del romanzo La vita è altrove, Milan Kundera spiega in
modo molto franco che lo scopo del romanzo non è esattamente quello di
rispondere ai tanti perché della vita. Il romanzo assolve già il suo compito se
in esso si sono poste delle domande. Secondo me, questo ragionamento vale anche
per l'opera dipinta, e soprattutto per il grande quadro di Gauguin. Le domande
danno già un senso all'opera: tre perspicaci domande: Da dove veniamo? Chi
siamo? Dove andiamo?
©
Giuseppe Lucio Fragnoli
IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
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