Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Nostra signora della Misericordia (1607),
olio su tela
(390 cm × 260 cm), Napoli, Pio Monte della Misericordia.
Il
quadro costituisce certamente uno sviluppo imprevisto rispetto alla tipica
visione caravaggesca, assolutamente antibarocca, dove la disposizione dei
personaggi – colti sempre in gesti controllati e significativi – è statica e
valutata in funzione dello spazio del quadro e di un preciso ordine
compositivo. Ed effettivamente, nella Nostra signora della Misericordia,
non vi è un preciso programma preparatorio del soggetto. “Più che un opera
costruita e meditata” ha commentato a ragione il Marangoni “sembra una
improvvisazione genialmente riuscita”. Infatti la scena è un movimentato
trambusto di personaggi, tutti affaccendati nelle proprie singolari
contingenze, bisognosi e misericordiosi, al cospetto di Gesù e Maria, sorretti
in alto da due angeli maldestri.
Le
sette opere di misericordia – dare da mangiare agli affamati, dare da
bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, curare gli
infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti – si compiono in
una ambientazione che rievoca i sudici e disadorni bassifondi napoletani, sulle
immaginarie movenze d’una penosa tamurriàta. Con citazioni colte e
lontane, mescolate ad elementi popolareschi, il Caravaggio rappresenta il suo
particolare e desolato mondo dei miserabili. All’interno di un simile consunto
contesto, un carcerato sporge il volto appena fuori dell’inferriata per
succhiare il seno della sua donna, andata a fargli visita. Dietro di loro si
intravede un uomo che trasporta un cadavere alla sepoltura, sotto lo sguardo
pietoso di un sacerdote, che rischiara l’oscurità del luogo con una torcia. In
primo piano un personaggio nudo e di spalle riceve da un gentiluomo, San
Martino ovviamente, la metà del mantello. Allato del compassionevole cavaliere
un nobiluomo accoglie un pellegrino. Alle loro spalle un personaggio dall’aspetto
rude s’abbevera – richiamando la vicenda di Sansone – da una mascella d’asino.
Dietro l’ignudo si intravede, nell’ombra, un poveraccio con le mani giunte, che
affamato chiede la carità di un tozzo di pane. La concitazione della scena non
finisce in terra, ma continua in alto, ove stanno la Madonna col suo Bambino in
braccio, che compassionevolmente osservano il compiersi delle caritatevoli
bisogne. Li sostengono due angeli volteggianti e con le ali spiegate,
dall’equilibrio instabile, che si sollevano a vicenda, in un volteggio
vagamente barocco. Dall’alto a sinistra, un bagliore di luce artificiale
rischiara il rabbuiato scorcio di rione, spargendo un impalpabile alone divino
sulle buone azioni che si concretizzano tutte in una volta.
Nell’opera
sono visibili molti elementi stilistici del Merisi, come il suo particolare
luminismo innaturale, la deliberata subordinazione della dimensione
spazio-temporale alla presenza scenica dei personaggi, la
pignoleria nella resa del reale. Manca la studiatezza nella collocazione nello
spazio del quadro delle figure, sostituita da una apparente e confusa
casualità. È invece evidente la particolare concezione religiosa dell’artista,
che riesce a rapportare alla realtà del suo tempo ogni episodio evangelico, compreso
ogni dettato devozionale, in una dimensione pauperista della fede, impersonata
dal Cardinale Borromeo, il quale raccomandava l’assoluta sobrietà del clero e
un ritorno al cristianesimo delle origini.
Va
ovviamente precisato, contrariamente a quanto ha asserito qualche studioso, che
l’opera non ha nulla a che fare con lo stile barocco. Non ci inganni né il moto
dei personaggi, né la baraonda compositiva.
La
visione caravaggesca non ha nulla a che fare col manierismo e tanto meno col
barocco. Al Caravaggio non appartengono né l’ottimismo, né la teatralità del
barocco, e ancor meno l’idea di grazia, di decoro e di bella forma,
così come le intendevano i manieristi.
Contro
chi cercava di ravvisare nel Caravaggio qualche forma di condizionamento
barocco Berenson ha argomentato che in confronto a un Rubens il Merisi appariva
“sobrio, contenuto e severo, piuttosto simile a un greco arcaico o a un
quattrocentista fiorentino.”
“Nessuna
forma di barocchismo si ritrova in Caravaggio”, ha sostenuto il Briganti. ”Egli
ha uno svolgimento in profondità e chiarezza che lo riporta presso gli artisti
del Quattrocento che ai contemporanei.”
La
descrizione dell’opera di Giovanni Pietro Bellori.
“Dipinse
le sette Opere in un quadro lungo circa dieci palmi; vedesi la testa d’un
vecchio che sporge fuori dalla ferrata della prigione suggendo il latte d’una
donna, che a lui si piega con la mammella ignuda. Fra l’altre figure vi
appariscono li piedi, e le gambe di un morto portato alla sepoltura, e dal lume
della torcia di uno, che sostenta il cadavero, si spargono i raggi sopra il
sacerdote con la cotta bianca, e s’illumina il colore, dando spirito al
componimento”.
La
figura dell’ignudo.
La
figura di un giovane ignudo, visto di spalle, la quale offre a Federico Zeri lo
spunto per scrivere che in essa si osserva “una citazione in senso classico
tra le più dirette del Merisi”, in quanto “il nudo visto di schiena, cui
San Martino offre la metà del mantello, è ricalcato con molta diligenza sul famosissimo
Gallo morente” e che del rapporto tra il Caravaggio e i marmi antichi molto ci
sarebbe da dire.”
Secondo
Roberto Longhi, invece, il nudo è ripreso da un dipinto del Moretto nella
cappella del Sacramento in San Giovanni Evangelista (1521), infatti egli
scrive: “E del Michea ci pare il Caravaggio si rammentasse davvero del nudo
che si va rivestendo nelle Opere di Misericordia; come da uno dei profeti
attribuiti al Romanino (ma in verità così naturalistici da doversi assegnare a
un ignolto seguace del Moretto, precisamente dal Malachia, è, se non erriamo,
desunto il chiaroscuro dalla testa di Cristo nella Vocazione di San Matteo.”
© G. LUCIO FRAGNOLI
IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
R.LONGHI, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 1968.
A.CHASTEL, Storia dell’arte italiana, Newton Compton
Editori, Laterza, Bari,1993.
G.P.BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori et architetti
moderni, Ristampa dell’edizione romana del 1672, A,Forni Editore,
S.Bolognese,1977.
M.MARINI, Caravaggio, Newton Compton Editori S.r.l.,
Roma, 1989.
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