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mercoledì 31 marzo 2021

DA DOVE VENIAMO? CHI SIAMO? DOVE ANDIAMO? di PAUL GAUGUIN

È nello stesso tempo il dipinto capolavoro e il testamento spirituale di Paul Gauguin, artista irrequieto e cerebrale, dallo stile complesso e ricercato.

 Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? di  Paul Gauguin, Museum of Fine Arts di Boston,   Olio su tela (141x376 cm.) 

LETTURA DELL'OPERA

        La realizzazione del quadro richiese quasi un mese di frenetico lavoro da parte dell'artista, che lo concepì come una sorta di testamento spirituale, riassumendovi il suo pensiero e i suoi progressi stilistici.

L'opera è pensata come un fregio o un affresco, magari proveniente da un solenne edificio di una civiltà antica, con gli angoli in alto scrostati, dove sono riportati il titolo e il nome dell'autore. L'immagine può meglio essere letta da destra verso sinistra, secondo un ideale arco parabolico, che simboleggia il tempo ciclico e il cammino esistenziale (fanciullezza, giovinezza, vecchiaia), e che inizia dal bambinello adagiato nell'angolo in basso, sulla destra, passa sulle mani del personaggio del giovane messo in primo piano, e si conclude sul corpo della vecchia che si tiene la testa tra le mani, in basso a sinistra. Il fanciullo giace abbandonato a se stesso, nel disinteresse del cane e delle donne che lo attorniano, una delle quali gli volta le spalle. È una citazione della natività in una dimensione arcaica e primitiva. Il giovane messo in primo piano, e quasi al centro della composizione, sta cogliendo un frutto, col significato di cogliere, col frutto, la parte migliore della vita. Il gesto simboleggia anche il peccato originale, che pure in questo caso si compie in un mondo remoto. Dietro il giovane, una donna di spalle si passa una mano sulla testa e osserva l'andare di due misteriose femmine vestite di rosso, che simboleggiano le angosce e gli interrogativi che ci torturano. Sempre alle spalle del giovane in primo piano, preceduto dalla probabile figura di una primordiale divinità, emerge nell'aggrovigliata e quasi improbabile vegetazione esotica un idolo. Sono i simboli delle ingannevoli e vacue credenze religiose. La vecchia, rannicchiata su se stessa e con lo sguardo perso nel nulla, attende rassegnata l'arrivo della morte, ignorata dalla giovane che le è vicina eppure dalla ragazza che morde un frutto. Lo strano uccello bianco che ghermisce una lucertola con le zampe simboleggia tristemente la vanità delle parole.

 Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? è un sicuramente un dipinto straordinario anche stilisticamente, dove il colore è usato in modo simbolico, innaturale e non descrittivo, contenuto in una linea chiara, elegante e sintetica, in una visione anch'essa simbolica e bidimensionale, che evoca meravigliosamente la pittura medioevale. 

UNA CONSIDERAZIONE FINALE

Vorrei, però, per concludere permettermi una veloce considerazione. Sono convinto che Gauguin, aldilà dell'interpretazione che ne ho dato, non concepì il suo capolavoro per dare delle risposte precise a tre precise domande sulla particolare verità della condizione umana. Nella prefazione del romanzo La vita è altrove, Milan Kundera spiega in modo molto franco che lo scopo del romanzo non è esattamente quello di rispondere ai tanti perché della vita. Il romanzo assolve già il suo compito se in esso si sono poste delle domande. Secondo me, questo ragionamento vale anche per l'opera dipinta, e soprattutto per il grande quadro di Gauguin. Le domande danno già un senso all'opera: tre perspicaci domande: Da dove veniamo? Chi siamo?  Dove andiamo?

                                                                                                   © Giuseppe Lucio Fragnoli


IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.


UNA DOMENICA POMERIGGIO SULL'ISOLA DELLA GRANDE-JATTE di GEORGES SEURAT



188-1886  - Art institute of Chicago - Olio su tela (cm.295x308)

 

 

LETTURA DELL'OPRERA


Esposta all'ultima ed ottava mostra degli Impressionisti, La Grande-Jatte di Seurat suscitò il disappunto di Monet e i commenti malevoli del pubblico, che non riuscì a comprenderne la portata innovativa. L'opera, composta faticosamente in due anni, dal 1884 al 1886, traduce in pittura le teorie sul colore del chimico Michel-Eugène Chevreul ed, in particolare, il principio del contrasto simultaneo, secondo cui un dato colore, accostato con il suo complementare, acquista maggiore lucentezza e vivacità cromatica. Da qui l'intuizione di Seurat di disporre i colori divisi ma accostati sulla tela con una fitta trama di piccole pennellate, inventando così la “tecnica” del divisionismo, o del puntillismo, lasciando alla sintesi retinica la percezione, da parte del riguardante, del colore risultante dalla giustapposizione di più colori. La realizzazione dell'immagine con questo procedimento razionale è stato definito, già dallo stesso autore, impressionismo scientifico, contrapposto all'impressionismo lirico di Renior e Monet. Il quadro, dal grande e inconsueto formato, è stato dipinto in studio, con l'utilizzo di una gran quantità di disegni preparatori e studi ad olio eseguiti en plein-air, con scorci di paesaggio e personaggi. Il soggetto, tipico dell'impressionismo, è uno spaccato di vita parigina del tempo: una ordinaria domenica pomeriggio estiva sull'isola della Grande-Jatte, affollata di gente in cerca di svago. Lo spazio dipinto è rappresentato in prospettiva centrale, con un unico punto di fuga molto alto, che coincide col monocolo del personaggio maschile in cilindro, in primo piano, che avanza da destra in compagnia di una signora molto alla moda, che tiene stranamente una scimmietta al guinzaglio. Sempre in primo piano, un altro gruppo di tre personaggi (una coppia di borghesi ed un fantino) scruta il corso tranquillo della Senna. Dietro di loro scodinzola un cane, oggetto di attenzione di un altro cagnolino, colto in un buffo salto in avanti. Oltre questi personaggi in primo piano, intorno alla figura di una signora con l'ombrellino rosso, messa idealmente al centro della composizione, ruota tutta una miriade di personaggi, tra i più vari, che occupano studiatamente lo spazio dipinto, chiaro, luminoso ed esteso in profondità. Sono i protagonisti della personale commedia umana di Georges-Pierre Seurat, immersi in una dimensione quasi irreale di immobilità e di sospensione temporale. Sono forme geometriche e inanimate, come manichini, come i blocchi di Piero della Francesca, ma quasi privi di peso e di volume, bloccati nello spazio del quadro in una visione eterna, silenziosa e immutabile. Come ha scritto il compianto professor Federico Zeri in Cento Dipinti, Seurat, Grande Jatte, “Seurat non vuole catturare, alla maniera impressionista, gli effetti fugaci della realtà: egli cerca piuttosto di inquadrare la realtà percepita entro un'armonia rigorosa e pianificata di linee e colori, affidandosi alle leggi dell'ottica. Opera fortemente innovativa, la Grande-Jatte diventa subito il manifesto del nuovo movimento post-impressionista.

 


La Grande Jatte fu esposta all'ottava ed ultima mostra degli Impressionisti, dal 15 maggio al 15 giugno 1886, per decisione dell'organizzatore Camille Pissarro, intenzionato ad ampliare la cerchia degli impressionisti romantici con l'ammissione dei giovani impressionisti scientifici, nonostante il parere contrario di Monet, di Renoir, di Caillebotte e di Sisley, i quali, in aperta polemica con la scelta di Pissarro non esposero alcuna loro opera.

 

 


VITA IN BREVE DI GIORGES-PIERRE SEURAT


Geeoges-Pierre Seurat nasce a Parigi il 2 dicembre del 1859. Di famiglia agiata, il giovanissimo Seurat mostra grande passione per l'arte. Incoraggiato da uno uno zio pittore, nel 1876 si iscrive alla scuola municipale di disegno e nel 1878 è ammesso all'Ecole des Beaux-Arts, completando frattanto la sua formazione culturale con importanti letture sull'estetica, sulle leggi dell'ottica e sulle teorie del colore, tra cui La loi du contraste simultané di Chevreul. Nel 1879, influenzato dalle opere osservate nella quarta mostra degli impressionisti, lascia l'Ecole des Beaux-Arts. Sul finire dell'anno parte per il servizio militare, che svolge nella città di Brest. Terminato il servizio militare, nel 1880 ritorna a Parigi, ove prende uno studio in affitto, in rue Chabrol, 19. Dopo varie esperienze artistiche, e sempre immerso nello studio assiduo, nel 1884 completa Baignade Asnières, che prelude al suo capolavoro assoluto: la Grande Jatte, iniziato nel maggio dello stesso anno e completato soltanto due anni dopo, in tempo per essere esposto alla ottava ed ultima mostra degli impressionisti, il 15 giugno del 1886. Trascorre un periodo intenso di lavoro, in cui l'artista riscuote un discreto successo, suscitando l'interesse entusiastico del giovane critico Felix Fénéon. Ma nel 1891, Seurat si ammala irrimediabilmente di difterite.  Il 29 marzo dello stesso anno, l'artista raffinato e intellettuale muore, all'età di soli 32 anni.

L'ESTETICA “SCIENTIFICA” DI GEORGES SEURAT

In una lettera scritta il 28 agosto 1890 ed inviata a Maurice de Beaubourg Seurat scrive: ESTETICA. L'arte è armonia. Armonia significa analogia dei contrari, analogia degli elementi similari di “tono”, di “colore”, ”di linea”, considerati in rapporto alla loro dominante e sotto l'influenza della luce, in combinazioni che esprimono gioia, serenità o dolore. I contrasti sono: per il “tono”, una luminosità più chiara, contro una più scura; per il “colore” i complementari, per esempio un determinato rosso opposto al suo complementare eccetera (rosso-verde, arancione-blu, giallo-viola); per una “linea”, quelle che formano un angolo retto. La gioia del “tono” deriva dalla sua luminosità; quella del “colore”, dalla dominante di intensità; ed infine quella della “linea”, dalle linee sopra l'orizzonte. La serenità del “tono” deriva dall'equivalenza di chiaro e di scuro; quella del ”colore”, dall'equivalenza di caldo e freddo; quella della “linea”, dall'orizzontale. Il dolore del “tono” risulta dalla dominante scura; quella del “colore”, dalla dominante fredda; della “linea”, dalle direzioni abbassate. TECNICA. Dati per concessi i fenomeni della durata di un'impressione luminosa sulla retina, il risultato che ne deriva è la sintesi. Il mezzo d'espressione è la mescolanza ottica dei toni e dei colori (sia del colore locale sia del colore illuminante: il sole, la lampada a olio, la lampada a gas, eccetera), ossia delle luci e delle loro reazioni (ombre) secondo la legge del contrasto, della gradazione, dell'irradiazione. La cornice, in un quadro, è in contrapposizione all'insieme dei toni, dei colori e delle linee del dipinto.                                            



©Giuseppe Lucio Fragnoli


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LA GIALLA ROSA DEL PAPUK di GIUSEPPE LUCIO FRAGNOLI

  

 La Gialla Rosa del Papuk (novembre 2019) ISBN 978-12-200-5519-2   ***  Auto pubblicato - Coeditore EDIZIONI EMMEGÌ s. r. l. 

In vendita presso tutti gli Store On Line (Amazon, Feltrinelli, Mondadori, eccetera)

RECENSIONE

Il nuovo romanzo di Giuseppe Lucio Fragnoli, La Gialla Rosa del Papuk (ISBN 978 12 200 5519 2, pagine 184) è stato da poco (novembre 2019) auto pubblicato (coeditore EDIZIONI EMMEGÌ s. r. l. di Castelforte LT). Si tratta di un romanzo brillante, ovviamente, ambientato in Inghilterra, nella Contea del Devon, per essere precisi, tra le cittadine di Tiverton, Barnstaple e dintorni. Questo nuovo lavoro letterario di Fragnoli stupirà sicuramente i lettori, soprattutto per la particolarità dei personaggi, per l’originalità delle situazioni narrate e per i contesti dentro cui si dipana la trama, stranamente sospesi tra realtà e finzione narrativa.

La Gialla Rosa del Papuk è un romanzo piacevolissimo, scritto con uno stile vivace e con un ritmo veloce e calcolato. La scrittura è scorrevole, ma assolutamente non piatta o didascalica, mai noiosa. La lettura quindi è pure scorrevole, ma soprattutto la trama appare subito avvincente, per via del susseguirsi di situazioni altalenanti e colpi di scena.

L’incredibile avventura cattura totalmente il lettore, che viene presto coinvolto dalle ambientazioni notturne e temporalesche in cui si muovono i personaggi: il fumettista Reginald Blake, protagonista della vicenda insieme alla diavolessa fatalona Margot Vega, le bellissime Charlotte, Eve e Shyla, i diavoli Bladis, Fuzz, Vanessa e Barnabas, il dottor Maxwell, e gli spietati Morto e Scheletro, il poeta Rettile Tragico, i disonesti Acid Brain, Luscus e il Becchino.

Sono tanti comunque gli attori che entrano in scena, ognuno con un suo ruolo preciso. Tutti gli interpreti, che appaiono in una studiata successione nella singolare narrazione, uomini donne diavoli e mascalzoni, sono davvero ben descritti e caratterizzati e coerenti, anche se non c’è una vera e propria evoluzione degli stessi, considerato che a essere raccontato è un breve periodo di tempo. Ogni sequenza, però, si intreccia in modo assai sapiente. Altri pregi dell’opera riguardano, poi, i luoghi in cui si dipana la storia, la contea inglese del Devon, con scenografie ora sublimi ora pittoresche, ora tetre e inquietanti.

Il romanzo sviluppa l’insolita peripezia in cui rimane coinvolto l’eccentrico fumettista Reginal Blake, il quale non esita a seguire il consiglio del suo psicoanalista, il dottor Maxwell, sicuro di sbagliare comunque. La sua vita si trasforma così in una girandola, fino a che, tra vicissitudini amorose e inattesi incontri, dovrà vedersela addirittura col diavolo, o meglio, con stravaganti diavoli e intriganti diavolesse, usciti forse dalle sue stesse creazioni o forse no...

Qui mi fermo, obbligatoriamente, non anticipandovi oltre, per non togliervi il piacere della lettura. Buon divertimento!   

Filippo Giuliano



L'autore, Giuseppe Lucio Fragnoli

La Gialla Rosa del Papuk (novembre 2019) ISBN 978-12-200-5519-2 **** Auto pubblicato - Coeditore EDIZIONI EMMEGÌ s. r. l.

 

IL GIURAMENTO DEGLI ORAZI di Jacques-Louis David


 

Il Giuramento degli Orazi, Jacques-Louis David, Louvre, Parigi.

  

LETTURA DELL’OPERA 

 

Il Giuramento degli Orazi (1784) di Jacques-Louis David, è ispirato dalla tragedia Horace di  Corneille, tratta dalla leggenda romana, secondo cui, nell’età del re Tullio Ostilio (VII sec. a.C.) i tre fratelli Orazi si offrirono per combattere contro i tre fratelli Curiazi e decidere così le sorti del conflitto tra Roma e Albalonga. 

Di tutto l’episodio, il pittore sceglie il momento di maggiore tensione psicologica, ossia il rito del giuramento, che si svolge alle prime luci dell’alba, all’interno di un chiostro tuscanico. Attraverso uno schema prospettico rigoroso, David realizza uno spazio tripartito, in cui sono sapientemente collocati i vari personaggi, i quali rappresentano tre stati d’animo diversi: la determinazione e l’amor patrio del padre, messo al centro della composizione, che porge le spade; l’eroismo e la pronta adesione dei figli al patto d’onore; cui si contrappone il sentimento più ordinario di dolore delle donne, tra le quali se ne scorge una vestita di scuro, una vedova indubbiamente, che anticipa l’esito tragico della vicenda. 

Il gruppo delle donne affrante, sorprendentemente, è una sorta di quadro nel quadro, che testimonia in modo eloquente come il dolore e il pianto, meritino la stessa importanza dell'orgoglio e dell'amor patrio, del coraggio e della determinazione. Le donne distrutte dal dolore suscitano nel riguardante un sentimento di commozione, ma pure ciò è perfettamente coerente, dato che la visione neoclassica è estetica, etica, morale, ma anche commovente e non rifiuta il pianto, se è causato da sentimenti sinceri ed elevati.


CONSIDERAZIONI GENERALI

 

Col Giuramento degli Orazi, David raggiunge la piena maturità stilistica, in una visione chiara, severa e potente, come quella d’un quattrocentista fiorentino, nel perfetto equilibrio di luce ad una determinata ora del giorno, spazio architettonico dipinto, complessità ed introspezione psicologica dei personaggi rappresentati. Per la scelta del soggetto David fu quasi sicuramente ispirato dall’Horace di Corneille, ripresa dai fatti narrati da Tito Livio, secondo il quale i tre fratelli Orazi scelsero di decidere le sorti della guerra tra Albalonga e Roma con un duello con i tre fratelli Curiazi della città nemica. Allo scontro sanguinoso sopravvisse uno solo uomo degli Orazi, che tornò a Roma da trionfatore, e dove ritrovò sua sorella distrutta dal dolore per la perdita del suo promesso sposo, uno dei fratelli Curiazi. Il giovane vittorioso impietosamente la uccise, e fu condannato a morte. Ma il padre chiese per lui clemenza e fu graziato, per alcun principio di giustizia, ma piuttosto per il valore da lui dimostrato, che prevalse sulla mancanza dell’importantissima prerogativa stoica e romana dell’autocontrollo.

 


SIGNIFICATO “POLITICO” DEL GIURAMENTO DEGLI ORAZI

 

Sebbene sia stato dipinto poco prima della rivoluzione francese, Il Giuramento degli Orazi niente ha a che vedere con essa. Il quadro fu dipinto a Roma ed acquistato dal conte d’Angiviller per la Corona. Lo stesso David non attribuì mai nessun significato politico all’opera, ma ne evidenziava invece solo la purezza e nobiltà delle passioni incarnate dai personaggi. David viene da molti considerato un artista politico. Ed a questo proposito ci sono due correnti di pensiero opposte: una che lo esalta come gran rivoluzionario; l’altra che lo vede come un freddo calcolatore sempre schierato col potere. Daniel Guérin lo definisce addirittura “un cinico borghese traditore del proletariato”. In verità, il primo importante atto di impegno politico avviene soltanto quando fu incaricato dal Club dei Giacobini, a cui egli pure apparteneva, di dipingere il Giuramento della Pallacorda e definito per l’occasione anticipatore della rivoluzione. Ma discutere di questo mi pare addirittura superfluo. Sappiamo bene che David fu deputato eppure presidente della Convenzione, e fu sempre coerente con le proprie idee politiche ed artistiche.  

Il Giuramento degli Orazi, rispecchia senza ombra di dubbio la mentalità seria e virtuosa dell'artista, inscindibile dalle sue opere. Giulio Carlo Argan meglio di tutti gli studiosi ha spiegato compiutamente e sinteticamente il senso del classicismo davidiano ne L'arte moderna, 1770 -1970 : "Per David l'ideale classico non è ispirazione poetica, ma modello etico. Non elude la realtà della storia col mitologismo arcadico, non la supera nella metafisica del sublime, guarda con fermezza e dominata passione al tragico che non è al di là, ma nella cruda realtà delle cose. Nel 1784, dipingendo a Roma Il Giuramento degli Orazi contesta l'identità pre-romantica di tragico e sublime: come l'Alfieri (e la coincidenza non è casuale), pensa che il tragico non è sublime, ma storico. Si dichiara filosofo, professa uno stoicismo morale di cui l'etica civile (Plutarco, Tacito) è il modello: come gli architetti neo-classici, che mirano all'ideale attraverso la logica aderenza alle esigenze sociali, si propone come un dovere la fedeltà lucida, impietosa del fatto. Presenta Marat morto: è un'orazione funebre, dura ed asciutta come il discorso di Antonio sulla salma di Cesare nella tragedia di Shakespeare, stringente come la requisitoria di Saint-Just per la condanna di Luigi XVI. E' chiaro il richiamo al classicismo morale di Poussin o di Philippe de Champaigne, ai tragici francesi (Corneille e Racine): paradossalmente potrebbe dirsi che David è il giansenista della Rivoluzione."

 



VITA DI DAVID IN BREVE.

 

1748. Nasce a Parigi Jacques-louis David. 1757. Il padre viene ucciso in duello. 1771. David è allievo di Joseph-Marie Vien. Vince il secondo premio dell'Accademia di pittura. 1772. David tenta il suicidio. 1774. Vince il Prix de Rome. 1775. David è a Roma. 1782. Si sposa con Charlotte Pécoul. 1783 - 1786. nascono i suoi quattro figli. 1789. Presa della Bastiglia. 1792. Viene eletto deputato della Convenzione. 1794. Cade Robespierre e viene incarcerato per un anno. 1800. David viene nominato pittore ufficiale del governo da Napoleone. 1804. Viene nominato pittore dell'Imperatore. 1815. Si schiera con Napoleone durante i cento giorni. 1816. Rifiutando la clemenza del Re preferisce l'esilio in Belgio. 1825. Muore il 29 dicembre, per l'aggravamento di una grave forma di raffreddamento.



BREVIARIO DEL NEOCLASSICISMO



Il neoclassicismo è lo stile che, nato a Roma, s’afferma a partire dal 1770 circa, e che ha come antefatto culturale quel grande movimento di idee noto col termine di illuminismo. Gli illuministi, attraverso il libero pensiero, si proposero di realizzare un mondo nuovo, governato da leggi ispirate all’uguaglianza sociale, cancellando per sempre i privilegi del clero e di una nobiltà inetta e in piena decadenza morale. La conseguenza storica dell’illuminismo, furono prima la rivoluzione americana e poi la rivoluzione francese. La rivoluzione francese nacque dal supremo disegno di creare una società «stabile ed armoniosa» per dirla con le parole di Isaiah Berlin «fondata su principi immutabili: un sogno di perfezione classica…» I dogmi, il rigido 'assetto sociale e gli arcaici privilegi dell’antico regime crollarono sotto la luce della ragione e di un idealismo intransigente. Con la stessa forza rivoluzionaria, il neoclassicismo segnò la fine del capriccioso, polveroso, sensuale e fatuo rococò. La chiarezza della ragione vinse sui mendaci e confusi artifici del dogma.

Il termine di neoclassicismo, che fu coniato alla fine dell’Ottocento in senso spregiativo, farebbe pensare ad una corrente artistica di mero e convenzionale rifacimento dell’arte greca e romana. Fu al contrario un movimento eversivo e travolgente, che mirò a realizzare un risorgimento delle arti, una rinnovata rifioritura artistica simile a quella rinascimentale. Gli artisti e i teorici lo chiamavano semplicemente il vero stile.

Un vento di trasformazione cominciava a soffiare nei salons parigini, rinfrescandone l’atmosfera chiusa e profumata, eliminando curve e codini rococò, soffiando via gli ornamenti delicatamente fragili: boccioli di rosa e conchiglie e cupidi incipriati con i sederini delicatamente imbellettati come le guance, tutte le figure della commedia dell’arte in posa e le altre squisite frivolezze e perversità che avevano fatto la delizia di una società di gusti difficili, ultrasofisticata… (Hugh Honour).


Il teorico del “vero stile” fu J. Winckelmann, il quale sosteneva che bisognava “imitare” i grandi maestri antichi. Ma imitare non significava – secondo il suo pensiero - copiare, bensì fare propri ed utilizzare i modelli e i canoni estetici degli artisti antichi, in un processo catartico di produzione del nuovo e del moderno. Ed infatti, il neoclassicismo è a tutti gli effetti uno stile moderno, come moderna è la neoclassica estetica del sublimeche si riassume in superamento della contemplazione, con un forte coinvolgimento spirituale e sentimentale nel godimento della bellezza.

Il neoclassicismo nacque per reazione al rococò, ma divenne ben presto uno stile profondo, portatore di alti valori etici e morali, avversatore dei dogmi e dell’ignoranza, della superstizione e della dissolutezza. Il suo decadimento fu dovuto alla banalizzazione che ne fece il periodo napoleonico, che lo trasformò in uno stile celebrativo e retorico, rappresentativo della grandeur imperiale. Cosa questa che favorì la graduale affermazione del romanticismo anche in chiave antifrancese. 

Molti pensano, sbagliando, che neoclassicismo e romanticismo siano due contrapposte e del tutto differenti correnti artistiche. Per come la penso io, il romanticismo fu l'evoluzione naturale del neoclassicismo, che aveva esaurito ben presto i suoi temi e la sua linfa innovativa. Sia l'uno che l'altro movimento procedettero insieme per un certo periodo ed ebbero molto in comune, compresa l'estetica del sublime. Erano, in buona sostanza, quasi due facce della stessa medaglia, rappresentavano entrambe quel mondo e quella società moderna che stavano nascendo impetuosamente, e spesso una corrente sconfinava e si cibava nell'altra, o la negava con violenza, dimostrano implicitamente di riconoscerla come riferimento importante. 

Diversi erano però e i temi e la rappresentazione degli stati d'animo. Diversa era la visione dell'uomo, che stava diventando l'unico libero padrone delle proprie idee e delle proprie creazioni.




©GIUSEPPE LUCIO FRAGNOLI




Fonti bibliografiche: NEOCLASSICISMO, Hug Honour, Einaudi, 1993; L'arte moderna, 1770-1970, Giulio Carlo Argan, Sansoni, 1970.

 

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INTERNO DI HAREM CON ODALISCA, SUONATRICE E GUARDIANO (L’odalisque à l’esclave) di Jean-Auguste-Dominique Ingres

 

Di Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’odalisque à l’eslave (firmato e datato 1839 - olio su tela - cm 72x100), Fogg Art Museum, Cambridge (Stati Uniti).

 Lettura dell’opera

Siamo all’interno di un harem, che potrebbe essere stato ripreso da miniature persiane. Un’odalisca, dal corpo flessuoso e immerso in un bagno di luce, è adagiata a terra in primo piano, su un tappeto a motivi geometrici, in una postura voluttuosa, con la testa poggiata su cuscini di seta e con le gambe avvolte da un leggero lenzuolo. La “venere esotica” ha posato su un rilucente panneggio setoso il suo ventaglio di piume di struzzo e volge lo sguardo ammaliatore verso il volto della suonatrice, in segreto pensiero di languore.

La musicante, in posizione più arretrata rispetto alla fascinosa ottomana, anche lei seduta sul tappeto, in una atteggiamento trasognato e leggermente lascivo, è vestita vagamente alla turca con panni di seta e un turbante. Oltre una balaustra che divide in due l’ambiente si scorge la figura di un eunuco che vigila discreto sulle donne.

Ogni dettaglio del dipinto evidenzia il carattere erotizzante del contesto orientaleggiante, reso con precisione fiamminga e con l’uso di una luce morbida e diffusa.

Si capisce come, quello di Ingres sia un oriente di sogno, lontano e misterioso, in cui è possibile appagare qualsiasi fantasia. È un oriente in cui vengono evocate situazioni di sofisticato erotismo, in una propria e particolare concezione della bellezza ideale, fatta di morbida e plasmabile corporeità, riconducibile a modelli perlopiù rinascimentali.  

 


Jean-Auguste-Dominique, Autoritratto.


Vita in breve di Ingres

Jean-Auguste-Dominique Ingres nasce a Mountauban il 20 agosto del 1870. Figlio maggiore del pittore Jean-Marie-Joseph, è scolaro di David, a Parigi dal 1797.

Nel 1801 vince il Prix de Rome con il dipinto Achille e gli inviati di Agamennone. L’anno successivo apre un atelier nell’ex convento dei Cappuccini, giungendo presto ad una notorietà che gli permetterà di eseguire nel 1804 il ritratto di Napoleone I console e due anni dopo Napoleone  in trono.

Nel 1810 risiede e lavora stabilmente a Roma  e nel 1813 sposa Madeleine Chapelle. In un periodo che va fino al 1914 dipinge opere di grande effetto come il Sogno di Ossian, Raffaello e la Fornarina, Paolo e Francesca e la Grande odalisca. Dopo la caduta di Napoleone nel 1815, lavora per una committenza ridotta e meno facoltosa.

Nel 1819 invia Ruggero e Angelica e la Grande Odalisca al Salon, riscuotendo giudizi poco favorevoli dalla critica.

Nel 1820 si trasferisce a Firenze e nel 1823 è eletto membro corrispondente dell’Accadémie des Beaux-Arts di Parigi. Dal 1824 è a Parigi e l’anno seguente vi apre uno studio in vie  Visconti, ricevendo la Legion d’Onore e venendo anche eletto membro dell’Accadémie des Beaux-Arts.

Nel 1834 Ingres è di nuovo a Roma come direttore dell’Accademia di Francia.

Nel 1841 ritorna a Parigi.

Nel 1849 muore la moglie, ma l’artista si risposa, due anni dopo, con Delphine Ramel. All’Esposizione universale del 1855 espone 43 dipinti in una sala a lui esclusivamente dedicata. Nel 1862 è nominato senotore.

Il 1867, alla sua morte, viene allestita una grande mostra in suo onore all’École des Beaux-Arts.

 

«Secondo noi, uno degli aspetti che innanzitutto distinguono il talento di Ingres, è l’amore per le donne. Il suo libertinaggio è serio, pieno di convinzione. Ingres non appare mai tanto a proprio agio ed efficiente come quando impegna il suo genio con le grazie di una beltà.» (…)

C. Baudelaire.

«”Sono un Gallo ma non di quelli che hanno saccheggiato Roma.” Fedele a se stesso fino all’ultimo, Ingres è l’artista che porta lo spirito del Neoclassicismo oltre l’età napoleonica, interpretando anche i temi più romantici in chiave classicheggiante.»

F. Zeri.

© G. LUCIO FRAGNOLI 

 

Bibliografia: Federico Zeri, Cento Dipinti, Ingres, Bagno turco, 1998 RCS Libri S.p.A. – Milano; Annalisa Zanni, I Gigli dell’Arte, Ingres, 1990 Cantini Editore, Borgo S. Croce, Firenze. 

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martedì 30 marzo 2021

OTTOCENTO un avvincente poliziesco di GIUSEPPE LUCIO FRAGNOLI

 


          

         EAN: 9788885693258

In vendita On line sui maggiori store (Amazon, Mondadori Store, Feltrinelli, eccetera)


Si chiama Ottocento il romanzo pubblicato nel maggio 2020 da Giuseppe Lucio Fragnoli con IL TRIFOGLIO BIANCO. Si tratta in realtà di una riedizione, giacché la prima pubblicazione del libro è avvenuta nell’anno 2000, con Grafiche Emmegì di Castelforte.

Nella recente pubblicazione il testo originario è stato ampiamente rivisto dall’autore pur avendone conservato sostanzialmente la trama. Si tratta quindi quasi di un nuovo romanzo, la cui lettura risulterà piacevole anche a chi ha letto l’opera uscita vent’anni addietro. E ciò per il fatto che vi troverà dei retroscena, riguardanti soprattutto i personaggi principali, che sono stati meglio caratterizzati. La storia è ambientata nell’Ottocento, intorno alla metà del secolo, nell’Inghilterra vittoriana. 

Nella maestosa casa dei Lester, nella campagna inglese nei pressi della cittadina di Clevedon, si è stato consumato un disumano eccidio. Sono stati ammazzate sei persone. Il giovane avvocato Bejamin Wasser, fuggito repentinamente, viene accusato della strage. Ma sul caso indaga il Sergente Maddox, strana figura di poliziotto sognatore. Che infine riuscirà a far luce sulla faccenda criminosa, con qualche travaglio e in un succedersi di impensati colpi di scena.... Cose dell’Ottocento, insomma.

J. M.

Breve precisazione dell'autore 

Ho pubblicato Ottocento nell’anno 2002, a mie spese e in poche copie, avendolo composto per puro divertimento, nei cosiddetti tempi morti, ossia nelle ore di buco tra una lezione e l’altra o tra un consiglio di classe e l’altro, o in treno, o addirittura in trattoria, scrivendolo a penna su un quadernone, poche pagine per volta. Non dico corbellerie, perché in quel periodo, per molti versi felice, che coincide con l’anno scolastico 2001/2002, insegnavo al Liceo E. Majorana di Latina, a 100 chilometri esatti da casa. In pratica uscivo la mattina e ritornavo la sera. Il proposito di rivedere l’opera l’avevo in mente già da qualche anno, e per tre semplicissimi motivi: primo, perché sapevo bene che il testo iniziale, acerbo e immediato, avrebbe avuto bisogno di un attento ripensamento delle situazioni narrate, con maggiore caratterizzazione dei personaggi e una precisazione ottimale delle ambientazioni, ma soprattutto di un’accurata revisione formale; secondo, perché ritenevo che si trattasse di un bel romanzo che, per il ridotto numero di copie, in pochi avevano avuto occasione di leggere; terzo, perché un narratore ha con le sue opere un rapporto intenso e continuo, in cui scrivere e riscrivere sono una normale pratica del suo lavoro: come dire che anche un libro già pubblicato potrebbe essere ancora aperto a rimaneggiamenti migliorativi. D’altronde, un simile intervento di rifacimento l’ho svolto già con altri miei romanzi come La festa dei cani, Miracolo al bar, Nero napoletano e Quell’impicciatissima vicenda di donne diavoli e altre stranezze, modificandoli in molte parti, talvolta ampliandoli, e ottenendo delle trame meglio strutturate, quasi dei nuovi romanzi.

L'autore Giuseppe Lucio Fragnoli al Bar Stop di Santi Cosma e Damiano.  Il Bar Stop, che si trova a Santi Cosma e Damiano (LT) è situato sulla Via Porto Galeo, ed è il bar preferito dall'autore.  



giovedì 25 marzo 2021

MARAT ASSASSINATO di Jacques-Louis David

 


MARAT ASSASSINATO (1793) di Jacques-Louis David

Musées des Beaux-Arts, Bruxelles (cm. 175x136)

" à Marat, David, l'an deux "

 

LETTURA DELL'OPERA

 

Il quadro viene ultimato da David nell'ottobre del 1793, l'anno II° del mese vendemmiaio del calendario rivoluzionario. Il 13 luglio del 1793 la girondina Anne Carlotte Corday, con la scusa di consegnargli una suppilca, si fa ricevere da Marat e lo uccide a tradimento. Sul posto subito dopo arriva David, che annota qualche porticolare della scena del crimine. 

La Convenzione lo incarica di dipingere un quadro in onore del rivoluzionario assassinato. David cambia moltissimi particolari della stanza, elaborando un'immagine del tutto diversa da quella reale, concependola come una testimonianza sulla grandezza etica e morale dell'amico del popolo: il suo destino si è inesorabilmente e tragicamente compiuto, con un atto vile che innalza l'uomo al rango superiore di martire ed eroe. 

Il titolo che David dà al dipinto è scritto in basso sulla cassetta di legno: 'A Marat. David. Non La morte di Marat, o Marat assassinato. Dato che l'artista non rappresenta l'azione scellerata dell'omicidio, ma l'esito drammatico del fatto, invitandoci a riflettere su di una esistenza superiore, che sopravvive alla morte. 

Il corpo di Marat giace riverso nella vasca da bagno, nella quale doveva stare per molte ore della giornata per alleviare la sofferenza che gli derivava da una malattia della pelle, contratta negli anni della rivoluzione, perché costretto a nascondersi in ambienti malsani, per sottrarsi ai suoi persecutori.

In questo si desume l'altezza morale dell'uomo, che vincendo il dolore fisico continua la sua opera politica al servizio del popolo. Ora è disteso come un filosofo dell'antichità, martire per le sue idee, in un ambiente disadorno e nella povertà degli arredi, a dimostrazione della sua onestà e incorruttibilità. Nella mano destra tiene ancora la penna e nella sinistra la supplica, a lui consegnata con l'inganno dalla donna che lo ha ucciso, che ha lasciato il suo coltello sulla scena del delitto.

Il destino dell'uomo si è inesorabilmente compiuto, il silenzio è drammaticamente  disceso sul corpo senza vita di Marat, come la luce, quasi irreale,  quasi a sottolineare la soprannaturalità dell'evento, che discende dall'alto sulle  cose, sul  lenzuolo e sul panno verde, sulla rozza cassetta  utilizzata come scrittoio, sulla penna e sul calamaio, sulla vasca con l'ucciso e sull'arma lasciata dall'assassina. Nella parete che fa da sfondo, buia e incolore, attraversata da un pulviscolo fluorescente, David ha riassunto la sua idea della morte, vista come mistero, ma forse senza possibilità di un'altra vita. Alla morte può sopravvive soltanto la fama di grandezza degli uomini.

Davanti al quadro il riguardante resta quindi silenzioso e assorto come davanti al sepolcro di un martire, in uno stato d'animo di composta commozione.    

 

LA LETTURA DI BAUDELAIRE

 

Nell'articolo "Le Museé Classique du bazar Bonne-Nouvelle", pubblicato in Le Corsair-Satan nel 1846, Charles Baudelaire rende un notevole ed ammirato tributo critico al capolavoro di David, definendolo un "poema inconsueto". Ed infatti egli scrive:

"Questo è il pane dei forti ed il trionfo dello spiritualismo; crudele come la natura, questo dipinto ha il profumo tutto dell'ideale. Quale era dunque la bruttezza che la santa Morte lo ha così prontamente cancellata con la punta della sua ala? Marat può ormai sfidare Apollo, la Morte lo ha ora baciato con labbra amorose, e lui riposa nella quiete della sua metamorfosi. Vi è in questa opera alcunché nel contempo di tenero e pungente; nell'aria fredda di questa camera, su questi muri freddi, intorno a questa fredda e funebre vasca da bagno, si libra un'anima."

 



VITA DI DAVID IN BREVE.

 

1748. Nasce a Parigi Jacques-louis David. 1757. Il padre viene ucciso in duello. 1771. David è allievo di Joseph-Marie Vien. Vince il secondo premio dell'Accademia di pittura. 1772. David tenta il suicidio. 1774. Vince il Prix de Rome. 1775. David è a Roma. 1782. Si sposa con Charlotte Pécoul. 1783 - 1786. nascono i suoi quattro figli. 1789. Presa della Bastiglia. 1792. Viene eletto deputato della Convenzione. 1794. Cade Robespierre e viene incarcerato per un anno. 1800. David viene nominato pittore ufficiale del governo da Napoleone. 1804. Viene nominato pittore dell'Imperatore. 1815. Si schiera con Napoleone durante i cento giorni. 1816. Rifiutando la clemenza del Re preferisce l'esilio in Belgio. 1825. Muore il 29 dicembre, per l'aggravamento di una grave forma di raffreddamento.

 

 

BREVIARIO DEL NEOCLASSICISMO

 

 

Il neoclassicismo è lo stile che, nato a Roma, s’afferma a partire dal 1770 circa, e che ha come antefatto culturale quel grande movimento di idee noto col termine di illuminismo. Gli illuministi, attraverso il libero pensiero, si proposero di realizzare un mondo nuovo, governato da leggi ispirate all'uguaglianza sociale, cancellando per sempre i privilegi del clero e di una nobiltà inetta e in piena decadenza morale. La conseguenza storica dell’illuminismo, furono prima la rivoluzione americana e poi la rivoluzione francese. La rivoluzione francese nacque dal supremo disegno di creare una società «stabile ed armoniosa» per dirla con le parole di Isaiah Berlin «fondata su principi immutabili: un sogno di perfezione classica…» I dogmi, il rigido 'assetto sociale e gli arcaici privilegi dell’antico regime crollarono sotto la luce della ragione e di un idealismo intransigente. Con la stessa forza rivoluzionaria, il neoclassicismo segnò la fine del capriccioso, polveroso, sensuale e fatuo rococò. La chiarezza della ragione vinse sui mendaci e confusi artifici del dogma.

Il termine di neoclassicismo, che fu coniato alla fine dell’Ottocento in senso spregiativo, farebbe pensare ad una corrente artistica di mero e convenzionale rifacimento dell’arte greca e romana. Fu al contrario un movimento eversivo e travolgente, che mirò a realizzare un risorgimento delle arti, una rinnovata rifioritura artistica simile a quella rinascimentale. Gli artisti e i teorici lo chiamavano semplicemente il vero stile.

Un vento di trasformazione cominciava a soffiare nei salons parigini, rinfrescandone l’atmosfera chiusa e profumata, eliminando curve e codini rococò, soffiando via gli ornamenti delicatamente fragili: boccioli di rosa e conchiglie e cupidi incipriati con i sederini delicatamente imbellettati come le guance, tutte le figure della commedia dell’arte in posa e le altre squisite frivolezze e perversità che avevano fatto la delizia di una società di gusti difficili, ultrasofisticata… (Hugh Honour).


Il teorico del “vero stile” fu J. Winckelmann, il quale sosteneva che bisognava “imitare” i grandi maestri antichi. Ma imitare non significava – secondo il suo pensiero - copiare, bensì fare propri ed utilizzare i modelli e i canoni estetici degli artisti antichi, in un processo catartico di produzione del nuovo e del moderno. Ed infatti, il neoclassicismo è a tutti gli effetti uno stile moderno, come moderna è la neoclassica estetica del sublimeche si riassume in superamento della contemplazione, con un forte coinvolgimento spirituale e sentimentale nel godimento della bellezza.

Il neoclassicismo nacque per reazione al rococò, ma divenne ben presto uno stile profondo, portatore di alti valori etici e morali, avversatore dei dogmi e dell’ignoranza, della superstizione e della dissolutezza. Il suo decadimento fu dovuto alla banalizzazione che ne fece il periodo napoleonico, che ne fece uno stile celebrativo e retorico, rappresentativo della grandeur imperiale. Cosa questa che favorì la graduale affermazione del romanticismo anche in chiave antifrancese. Molti pensano, sbagliando, che neoclassicismo e romanticismo siano due contrapposte e del tutto differenti correnti artistiche. Per come la penso io, il romanticismo fu l'evoluzione naturale del neoclassicismo, che aveva esaurito ben presto i suoi temi e la sua linfa innovativa. Sia l'uno che l'altro movimento procedettero insieme per un certo periodo ed ebbero molto in comune, compresa l'estetica del sublime. Erano, in buona sostanza, quasi due facce della stessa medaglia, rappresentavano entrambe quel mondo e quella società moderna che stavano nascendo impetuosamente, e spesso una corrente sconfinava e si cibava nell'altra, o la negava con violenza, dimostrano implicitamente di riconoscerla come riferimento importante. Diversi erano però e i temi e la rappresentazione degli stati d'animo. Diversa era la visione dell'uomo, che stava diventando l'unico libero padrone delle proprie idee e della proprie creazioni.

 













© G. LUCIO FRAGNOLI


IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.


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La vendetta.  Era l’unica possibilità che mi avevano lasciato gli “assassini” della mia anima e i “ladri” della mia pubblica onorabilità. An...