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giovedì 3 dicembre 2020

TRE DONNE INTORNO AL COR… un romanzo di MICHELE GRAZIOSETTO


 


Premetto che ho cercato di essere il più conciso possibile nel commentare del romanzo di Michele Graziosetto, “Tre donne intorno al cor...”, pubblicato con Guida di Napoli, sforzandomi comunque di fornire una completa analisi critica dell’opera, per quanto personalissima. E mi sembra logico iniziare dalla trama. 
Telemaco è un affermato professionista, non più giovanissimo, che sta portando avanti, con l’aiuto della sua segretaria, Giusy, il progetto di ricostruzione della «cittadella» distrutta dalla guerra, nell’idea più ampia di riqualificazione dei luoghi circostanti, con un conseguente rilancio turistico e le ovvie ricadute occupazionali. 
Egli si muove quindi tra pastoie burocratiche, richieste di finanziamenti e approvazioni da parte delle varie associazioni legate al territorio. La sua giornata è piena di impegnative riunioni ed altre incombenze. 
Nelle pause di lavoro si pone mille domande sulla sua vita precedente, cui non riesce a dare risposte ammissibili. Il suo passato riaffiora di continuo nel presente, come una sorta di mondo parallelo, nel quale rivede ansiosamente le fasi più significative della sua vita, fino alla separazione da Thania da cui ha avuto un figlio. 
Tra tutto ciò, il protagonista della storia trova il tempo di vivere una serie di peripezie amorose. Nello spazio di una sola, interminabile giornata. Mentre ripensa con nostalgia e rabbia ora a Thania, ora a Darly, conturbante protagonista di un altro amore finito, causa il progetto di ricostruzione della Cittadella, incontra una stravolgente segretaria, Roberta, cui non può fare a meno di inviare delle rose gialle. 
In un simile altalenarsi e di ricordi legati a momenti felici o amari, compare all’improvviso Darly, emersa dal suo passato come per l’effetto inesorabile della stravagante teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche. 
Darly e Telemaco si danno appuntamento in un caffè. Mentre Telemaco aspetta Darly, che stranamente non si presenta, conosce Milena, appassionata di letteratura, che lo invita a casa sua e lo seduce nella sua preziosa biblioteca, dopo una dotta disquisizione sulla letteratura erotica. Telemaco, al contrario di Milena, esprime un giudizio diverso, opposto, sul romanzo Porci con le ali, valutandolo rispetto al tempo in cui è stato scritto. 
Cosa che io condivido pienamente. Infatti ritengo che un’opera letteraria debba soprattutto rappresentare il proprio tempo. Sono d’accordo con Milan Kundera quando afferma che niente meglio della letteratura può farci capire lo spirito di un popolo o di un paese. Specialmente in un determinato periodo storico.
Ma a questo punto il valzer degli incontri si complica parecchio. Roberta telefona al nostro protagonista è gli dà un appuntamento nel pomeriggio e anche Milena lo chiama, sempre per un incontro pomeridiano. Poi gli telefona Darly, per un appuntamento in serata. Infine gli telefona Thania, che lo vuole vedere per parlargli. 
C’è poco da fare, il gioco si fa duro per il nostro Telemaco! Che a un certo punto, sul finire del racconto, pare penetrare in una dimensione assolutamente surreale, alla Magritte per capirci, dove tutto sembra maledettamente vero ma impossibile. 
Darly, Roberta, Thania, Milena divengono in questa finale di irrealtà come spettri oppressivi per la mente di Telemaco, smarrito nelle proprie indecisioni. E qui mi fermo, per non svelare altro sulla conclusione della vicenda, per non togliere al futuro lettore il gusto di scoprirlo da sé. 
I luoghi della narrazione sono pochi, essenziali ed imprecisati, fatta eccezione per la veloce escursione nella campagna circostante, nel casolare di Roberta, la visita a Darly nell’appartamento con vista sul fiume e nella casa biblioteca di Milena. 
Gran parte della storia si svolge nello studio di Telemaco, o nella caffetteria all’angolo. Ne La strana giornata del dottor Telemaco Pidora, titolo che io avrei dato al racconto, i tempi della narrazione appaiono dilatati, sia per l’uso costante dei dialoghi, speso prolungati, le descrizioni accurate e il continuo ricorso da parte del protagonista all’introspezione. Ma tutto questo è chiaramente funzionale alla trama. Nondimeno, si notano alcuni sfumati modelli di riferimento: Joice vagamente, Svevo forse, il D’Annunzio de Il piacere probabilmente, pure se l’autore non può fare a meno di dichiarare il suo amore per la storia con una veloce trattazione, svolta in forma colloquiale, intorno alle faccende dei governi dell’Italia unita e delle varie leggi elettorali che si sono susseguite nel tempo. 
Le parole sono quelle del nostro tempo, con l’utilizzo di espressioni legate alla lingua parlata come per il verbo bypassare, ma con delle ricercatezze usate specialmente nelle fasi descrittive di luoghi, nelle situazioni passionali e nella rappresentazione degli stati d’animo. 
Mi ha incuriosito molto l’utilizzo del verbo almanaccare, usato una sola volta nell’intero scritto, allo stesso modo del Manzoni, che pure lo usa una sola volta ne I promessi sposi. Nell’intero scritto, improntato ad una certa pulizia formale, si incontra una sola parolaccia alla pagina 143, scappata dalla bocca di Carlo, proprietario della caffetteria. «Che stronzi farabutti» dice parlando di certi figli di papà. Nessuna critica negativa al romanzo – che, se all’inizio sembra un po’ lento, sul finire diventa avvincente - tranne l’utilizzazione dell’espediente del manoscritto ritrovato per caso che è un accorgimento già troppo usato (da Manzoni a Eco). 
Io, è risaputo, predilgo una narrazione più veloce ed avrei snellito un pochino il testo, dandovi una dimensione, se così si può dire, cinematografica. 
Ma questa è soltanto una mia considerazione, fin troppo soggettiva. L’autore, invece, e secondo il mio pensiero, usa i tempi e le movenze del teatro, con le donne che sono le vere padrone della scena. Che accerchiano il protagonista e lo braccandolo come una preda predestinata alla sconfitta. 
Voraci, bellissime, tentatrici, esseri diabolici spediti sulla terra dal profondo dell’inferno a stravolgere la vita di Telemaco, pure lui un po’ vampiro, attratto dai profumi ingannevoli e dalle plastiche forme femminili, predisposto purtroppo ad abboccare. Milena, Roberta, Darly, Thania, quattro in effetti le donne intorno al cor, sono sicuramente loro a calamitare la spontanea morbosità del lettore. 
Sembrano far parte di una infida confraternita, che implacabilmente porta a compimento il loro piano, come nel teatro dell’assurdo, in una illogica concatenazione dei fatti. Bene, concludo ricordandovi il componimento in rima citato dall’autore nel titolo dell’opera.

Tre donne intorno al cor mi son venute,
e seggonsi di fore:
ché dentro siede Amore,
lo quale è in segnoria de la mia vita.
Tanto son belle e di tanta vertute
che ’l possente segnore,
dico quel ch’è nel core,
a pena del parlar di lor s’aita.
Ciascuna par dolente e sbigottita,
come persona discacciata e stanca,
cui tutta gente manca
e cui vertute né beltà non vale.

(…)

Dante Alighieri, Tre donne intorno al cor mi son venute (Rime) 1302-1304 circa.

 

 

2020 © Giuseppe Lucio Fragnoli

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