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mercoledì 2 dicembre 2020

ALLEGORIA DEL TRIONFO DI VENERE di AGNOLO BRONZINO

 



Agnolo Bronzino (1503-1572), Allegoria del trionfo di Venere (ca 1540 -1545), olio su tavola  146 x 116 cm, National Gallery, Londra.

 

Il quadro, commissionato al Bronzino dal Duca Cosimo I dei Medici per essere inviato come dono a Francesco I, re di Francia, propone una raffinatissima interpretazione del vero senso dell’amore carnale, coi sui batticuori e le sue piacevolezze, ma che si risolve infine in un illusorio quanto effimero abbaglio.

Ma, come il desiderio sessuale, anche il più puro trasporto sentimentale è destinato a svanire, inevitabilmente, nella transitorietà dell’umana esistenza.

È l’amore stesso, comunque inteso, in forma di concupiscenza o di passione affettiva, che si trasfigura da momentanea delizia in subdola corrispondenza, in egoistico diletto.

Protagonisti della scena sono Venere e Cupido che, in contraddizione con le ordinarie trame mitologiche in cui compaiono come madre e figlio, sono rappresentati dal Bronzino come amanti, in un lascivo ed eccitante intreccio seduttivo.

Cosicché Venere, dalle carni tenere e lattescenti e con in mano il pomo della discordia, è impudicamente accomodata su un panno azzurro, in una posa erotizzante ed aggraziata insieme. Molto disinvolta si volge a baciare le labbra di Cupido, sottraendogli nel contempo una freccia dalla faretra.

Cupido, dall’incarnato altrettanto chiaro e dalla fisionomia adolescenziale, la bacia con aria smaliziata, in un avido contatto corporeo, stringendole un seno con una mano, ma sfilandole con l’altra la preziosa coroncina dai capelli.

Lo sfacciato erotismo di Venere e Cupido tradisce dunque uno scambievole raggiro, a far intendere quanto premesso intorno all’amore, che ovviamente costituisce l’insegnamento morale celato nel dipinto.

Tra i piedi di Cupido si scorgono una colomba, che allude alla fecondità, ed un cuscino, che celebra l’atto amoroso stesso, mentre vicino ai piedi di Venere si distinguono le maschere della commedia e della tragedia, che simboleggiano le stagioni della vita.  

Dietro gli amanti, l’artista raffigura tutta una serie di personaggi che completano la forbita messinscena allegorica. Un putto, personificazione della Gioia, irrompe festoso con una sonagliera alla caviglia, pronto a spargere all’intorno i petali di rose che tiene tra le mani, simbolo di voluttà e leggiadria. Dietro di lui si nasconde la figura mostruosa della Frode, metà bambina e metà leone e rettile, con le mani invertite, in una delle quali ha un favo di miele.

Alla Gioia ed alla Frode si oppone, dall’altra parte dell’immagine, la figura della Gelosia, una vecchia sdentata e sgraziata, dal volto scuro e rugoso, che si strappa i capelli in un urlo collerico.

In alto domina la figura di un vecchio, la personificazione del Tempo, con la barba bianca, le ali e la clessidra, metafora dell’ineluttabile scorrere della vita. Egli è sorpreso nell’atto di reggere il manto turchino su cui Venere è adagiata, insieme alla figura della Verità, ad ammonirci sulla transitorietà di ogni faccenda terrena.


IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO (DESTINATO PERTANTO AGLI APPASSIONATI E AGLI STUDENTI. 

 

© G. LUCIO FRAGNOLI


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