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giovedì 3 dicembre 2020

AMORE E PSICHE di ANTONIO CANOVA

 

L’opera fu commissionata nel 1778 da John Campbell, ma l’autore la ultimò soltanto nel 1793, vendendola poi nel 1800.

 

LETTURA ED ANALISI SILISICA DELL’OPERA

 

Nel gruppo scultoreo di Amore e Psiche, Antonio Canova si ispira alla favola omonima, contenuta all’interno del romanzo di Apuleio Le Metamorfosi. Il momento scelto dall’autore e quello in cui la bellissima Psiche, di ritorno dall’Ade, ha aperto un’ampolla affidatale da Proserpina, che avrebbe dovuto contenere un po’ di bellezza, da consegnare a Venere. Ma Psiche, sopraffatta dalla curiosità, ha disatteso al volere di Venere, e dalla boccetta appena aperta e ne è fuoriuscita invece la nuvola malefica del sonno profondo, facendola così sprofondare in un letale sopore. Amore, impietosito, corre a soccorrerla, riportandola nel mondo reale con un salvifico bacio.

Canova è riuscito a scolpire nel marmo questo istante di autentico trasporto, l’attimo in cui i due protagonisti della favola si abbracciano teneramente prima di baciarsi, entrambi inebriati dal desiderio.

Nella vista frontale, meglio che nelle altre, se ne coglie completamente la struttura compositiva, organizzata secondo due archi che si intersecano indirizzando l’attenzione del riguardante verso le labbra dei due personaggi che stanno per baciarsi nel loro morbido abbraccio, in una assoluta interpretazione poetica e del momento cruciale della storia. Ma anche nelle altre innumerevoli e godibili viste si rafforza il genuino significato dell’opera e si percepisce la sapiente postura di un personaggio rispetto all’altro, in un dialogante e misurato rapporto di gesti e in una attenzione maniacale per i dettagli.

La stilizzazione canoviana dei corpi è una sorprendente novità nel campo della scultura, ed è una prerogativa stilistica propria del maestro neoclassico. In Amore e Psiche l’ideale rappresentazione del corpo umano e compiutamente enunciato più che altrove, con l’evocazione di certa statuaria ellenistica, ma con una maggiore intenzione a plasmare le figure magre, agili e snelle nello stesso tempo, e con la fissazione tutta canoviana di rendere il marmo tenero come la carne, con un rigoroso lavoro di levigatezza delle superfici su cui applicava uno strato di cera per mitigare la freddezza del marmo.

Molti storici dell’arte, fino a qualche tempo addietro, hanno rimproverato a Canova il gelido erotismo emanato dalle sue creazioni, ignorando la volontà stessa dello scultore. “L’artista neoclassico”, come ha puntualizzato Honour, “si proponeva di essere naturale e non naturalistico. Egli voleva purificarlo (il nudo, n. d. a.) dalle accentuazioni erotiche che avevano spinto Diderot a lamentarsi: Ho visto abbastanza seni e pubi… questi oggetti seducenti contrastano le emozioni dell’animo eccitando i sensi. Egli esaltava l’innocenza, la inadorna semplicità, l’essenziale purezza del nudo…”

Nella concezione illuminista, quindi, “il nudo rappresentava l’uomo spogliato da tutti gli ingannevoli elementi esterni, così come la natura lo aveva fatto: liberato cioè da tutte le pastoie del tempo, come visto come contro uno sfondo di eternità.”

Altri critici e storici rifiutavano, invece, l’inespressività delle figure canoviane, non tenendo conto che il Neoclassicismo è fondamentalmente uno stile puro. E Canova ha elaborato, in adesione alle idee neoclassiche, una visione estetica (che è ulteriormente etica e morale) incontaminata dalle passioni, in una dimensione di bellezza assoluta ed eterna, perché immobile nella sua alta liricità e pulizia morale. È la catarsi, propria dell’arte classica, splendidamente realizzata.      

© G. LUCIO FRAGNOLI

 

 

VITA IN BREVE DI ANTONIO CANOVA

 

Antonio Canova nacque a Possagno, nei pressi di Treviso, nel 1757, ma si trasferì ancora giovanissimo a Venezia dove studiò all’Accademia, maturando una formazione classica, aprendovi anche un proprio atelier nel 1775. Nel 1779 si guadagnò grandi riconoscimenti col gruppo scultoreo  Dèdalo e Icaro, esponendolo alla festa dell’Ascensione. Nel 1781 lo scultore si trasferì a Roma, subendo subito l’influenza delle idee di Mengs e di Winckelmann, potendo anche osservare modelli importanti della statuaria classica. Nel 1783 gli venne commissionato il monumento funebre di Papa Clemente XIV, e l’anno appresso quello di Papa Clemente XIII. Canova lavorò prevalentemente a Roma,  risiedendovi pure per il resto della vita, ad eccezione di vari soggiorni nei luoghi di origine e dei viaggi a Vienna, a Parigi e a Londra. Tra il 1798 ed il 1803, realizzò il monumento funebre a Maria Cristina d’Austria. Al culmine della notorietà, nel 1804, Canova ritrasse Napoleone, ottenendo di seguito moltissime commissioni da committenti nobili e facoltosi di mezza Europa. Si spense a Venezia nel 1822.

 

 

LE METAMORFOSI E LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE.

Nell’opera di Apuleio Le Metamorfosi, anche noto come Asino d’oro, la favola di Amore e Psiche costituisce un’ampia digressione all’interno della narrazione (dal capitolo 28 del libri IV al capitolo 24 del libro VI). Nel romanzo si racconta del giovane Lucio, appassionato di magia, che si reca in Tessaglia per apprenderne i segreti. Giunto a destinazione Lucio, desideroso di sperimentare le arti magiche in prima persona, chiede ad una strega di essere trasformato in uccello, ma per un mero errore di sostituzione del portentoso filtro si trasforma invece in un asino, pur conservando il suo intelletto. Prima di poter porre rimedio alla sua metamorfosi (mangiando delle rose), viene rapito dai briganti e si imbatte in tutta una serie di avventure, cambiando padrone in continuazione. Fino a quando la dea Iside, apparsagli in sogno, gli rivela la fine dei suoi patimenti. Cosicché l’asino Lucio, durante una processione dedicata alla dea, riesce a mangiare una corona di rose portata dall’ufficiante. Riacquistato  l’aspetto umano, Lucio, recatosi a Roma, è iniziato al culto di Iside e Osiride, rivelandosi alla fine della narrazione come l’autore stesso. Nel mezzo delle singolari evenienze di Lucio, vi è l’episodio di una vecchia, la quale racconta la favola di Amore e Psiche ad una ragazza rapita, per confortarla. E come ogni favola che si rispetti, quella di Amore e Psiche inizia così: Eram in quadam civitate rex et regina…

 

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE.

Psiche era la più bella delle tre figlie di un re ed una regina. Era talmente bella, tanto da suscitare l’invidia di Venere. La dea, per rivalsa, chiese aiuto a suo figlio Amore, affinché la trafiggesse con una freccia stregata e la facesse innamorare di un uomo brutto e sciagurato, condannandola all’infelicità.

 Ma Amore quando la vide restò talmente sorpreso dalla bellezza di lei, che si fece sbadatamente cadere uno dei suoi magici dardi sul suo stesso piede, invaghendosene follemente, e facendola portare da Zefiro su un letto di fiori nel suo meraviglioso palazzo per poterla possedere. Così Amore, per evitare la furia della madre Venere, incontrava solo di notte l’innamoratissima Psiche, che aveva accettato di unirsi a lui rinunciando a conoscerne l’identità. Ma incitata dalle sorelle, Psiche decise di vedere il volto del suo adorato, e lo attese con una lampada a olio ed una spada, pronta a infierire se si fosse trovata dinnanzi a un mostro.

La notte Amore la raggiunse, e quando Psiche avvicinò la lampada al suo viso, restò sconvolta dalla bellezza del suo amante. E mentre Psiche lo baciava, gli fece cadere una goccia d’olio addosso. Amore sdegnato dall’imprudenza della donna, l’abbandonò.

Venere, saputo dell’accaduto, s’adirò con Psiche e per punirla la sottopose ad una serie di difficoltose prove, che la mortale superò. Cosicché la dea della bellezza propose a Psiche la prova più difficile: la ragazza avrebbe dovuto discendere negli inferi e chiedere alla dea Proserpina un poco della sua bellezza. Psiche scese negli inferi, ricevendo dalla dea un’ampolla chiusa. Ma sulla via del ritorno, Psiche incuriosita, non seppe trattenersi dall’aprire l’ampolla, che invece della bellezza conteneva il sonno più profondo, che la fece cadere irrimediabilmente addormentata. Ma provvidenzialmente giunse Amore  per risvegliarla e riportarla alla vita.

I due innamorati, infine, col consenso di Giove, si sposarono e vissero felici e contenti.

VITA DI APULEIO.

 Lucio Apuleio nacque intorno al 125 d.C. a Madaura, in Numidia, da una famiglia benestante. Un sostanzioso lascito gli permise, infatti, di viaggiare molto, studiando retorica a Cartagine e filosofia ad Atene, soggiornando ripetutamente anche a Roma. Durante uno dei suoi tanti viaggi Apuleio, ormai trentenne, giunse ad Alessandria, dove sposò Pudentilla una vedova molto ricca. I parenti di lei, però, lo accusarono di averla conquistata con l’aiuto di un infuso magico ed intentarono contro di lui un processo, da cui venne però assolto. Per il resto della sua vita Apuleio  visse a Cartagine, conquistandosi la fama di eccelso retore.

 

 

DIZIONARIOMITOLOGICO.

ADE: Con questo termine che significa “l’invisibile”, gli antichi greci chiamavano la divinità che regnava nell’oltretomba ed anche l’oltretomba stesso.

PROSERPINA: Divinità romana che si identifica con quella greca di Persefone, sovrana dell’Ade e dei morti. 


IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI APPASSIONATI E AGLI STUDENTI. 

Giuseppe Lucio Fragnoli

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