(1817 – 89.6
x 119.3 x 48.8 cm - Copenaghen, Thorvaldsen Museum)
Il mito di Ganimede
Ganimede,
bellissimo figlio di Tròo e di Calliroe, secondo la tradizione mitologica, fu
rapito da un’aquila mandata da Giove, o più probabilmente dallo stesso padre degli
dei, tramutatosi in una meravigliosa aquila, per assegnare al giovane la mansione
di coppiere alla sua mensa, già riservata alla graziosa Ebe. Cosa questa che
suscitò il risentimento di Giunone – che
di Ebe era madre –.
Ma il
motivo vero dell’irritazione della dea poteva più sicuramente essere rapportato
al fatto che il singolare rapimento del leggiadro giovane era stato condotto
per ben diverso ed inconfessabile scopo.
In ogni
caso, Giove non mancò poi di risarcire Tròo,
per il torto che gli aveva arrecato, facendogli recapitare da Mercurio un
vitigno d’oro e due cavalli velocissimi.
Il
riprovevole mito di Ganimede fu utilizzato soprattutto come discreto e quasi
necessario alibi per legittimare l’imperversante omosessualità nel mondo greco
antico.
(…)
de’
mortali il più bello, e degli Dei
rapito
in cielo, perché fosse a Giove
di
coppa mescitor per sua beltade,
ed
abitasse con gli eterni.
(Iliade, XX)
Lettura dell’opera
L’opera
rappresenta il bel Ganimede che porge, servizievole e sottomesso al volere del
suo padrone, ancora celato sotto le spoglie dell’aquila che lo ha appena
rapito, una coppa ricolma di vino per abbeverarlo, anticipando così il suo
destino di coppiere alla mensa degli dei e di condiscendente concubino.
Tutto il
mito è dunque perfettamente narrato in una sola figurazione in cui,
parafrasando l’Iliade, il più bello “de’ mortali” si abbassa in una postura
ossequiosa ma sobria, perfettamente naturale, di fronte al fiero volatile, per
porgergli con una mano una coppa dello squisito nettare, appena versato dalla
brocca che tiene nell’altra mano. Il suo volto ed il suo sguardo incolpevole
sono rivolti verso la coppa da cui beve il suo signore, trasmettendo una
sensazione di paziente attesa e condiscendenza.
Nella
scultura del “Fidia danese”, si riflettono tutti i principi neoclassici. Ed
infatti le espressioni sono contenute e pacate, e si accompagnano ad una
straordinaria purezza formale, ove lo scultore persegue un’idea di bellezza suprema,
antica e perenne. Il suo ideale di bello rimanda direttamente alle
stilizzazioni canoviane e alle osservazioni estetiche di Winckelmann, che vede nell’antichità
classica la via maestra che porta alla modernità, al vero stile.
Brevi notizie sulla vita
Bertel Thorvaldsen (Copenaghen
1770 - 1844) è universalmente considerato uno dei maggiori esponenti del
neoclassicismo.
Visse
ed operò soprattutto a Roma, dove svolse un serio studio sull’arte antica e dei
modelli scultorei greci e romani, affermandosi subito come artista colto e di
talento, ottenendo numerosissime
commissioni.
Le
opere più rappresentative sono Il
Giasone (1803), Ganimede e l’aquila
(1817), Cristo e gli Apostoli
(1821-27), Monumento a Pio VII.
GIUSEPPE LUCIO FRAGNOLI
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