L’opera fu commissionata allo scultore neoclassico dal Duca Alberto di
Sassonia, come si deduce dalle iscrizioni in latino sul medaglione e sul
portale.
Il Monumento funebre a Maria Cristina
d’Austria è concepito, coerentemente al pensiero foscoliano dell’autore, come
luogo di congiunzione e affetto con il caro estinto, e come sacro e solenne
simulacro che induce a una profonda riflessione sul vero senso della vita.
Esso è concepito come una struttura piramidale marmorea posta su un basso
crepidoma, al centro della quale si apre un portale che immette in una
camera buia. In alto, quasi alla sommità della piramide, si distingue, in
bassorilievo, un medaglione con il ritratto di profilo della defunta,
incorniciato da un serpente che si morde la coda (antico simbolo
dell’eternità), sorretto dalla sospesa figura della Felicità, cui si contrappone
una seconda figura che porge una palma, simbolo di beatitudine. Sul piano
dell’entrata, alla destra di chi osserva, è disteso un mansueto leone, simbolo
della saldezza morale, su cui si adagia il malinconico Genio del Dolore, con lo
sguardo rivolto ai cinque personaggi che avanzano in processione, in verso
opposto, immaginati dallo stesso artista come un corteo funebre, tra i quali si
distingue la figura della Pietà (intesa come la virtù romana della Pietas),
che metaforicamente porta le ceneri della morta al sepolcro, con le restanti
figure che rappresentano, invece, la Beneficenza.
Va tuttavia precisato che Canova
stesso, contrariamente al volere del committente, che aveva indicato dei
significati allegorici per le figure (Beneficenza, Virtù, Felicità) aveva, come
lui stesso afferma, immaginato i personaggi soprattutto come “una specie di
pompa funebre, nell’atto che recano le ceneri al sepolcro”, ma che possono
contenere anche un ulteriore significato. Ossia quello delle tre età dell’uomo,
ravvisabile nel gruppo composto di un bambino, una giovane donna e un vecchio,
i quali nel rendere omaggio alla nobile trapassata, procedono con passo lento
verso la porta aperta della camera tombale, la cui oscurità rimanda all’eterno
dilemma di ciò che vi è oltre la morte.
In definitiva, come argomenta Hugh Honour, la Tomba di Maria Cristina d’Austria, “non è composta come un necrologio né come un epitaffio, ma come un’elegia. Al pari del Lycida o dell’Adone inizia come una tragedia sulla morte di un determinato individuo; attraverso le allusioni classiche viene poi ad assumere una fisionomia senza tempo e si innalza fino ad essere un lamento, emotivamente toccante eppure storico, sulla morte dell’umanità intera.”
Vita in breve di Antonio Canova
Antonio Canova nasce a Possagno, nei
pressi di Treviso, nel 1757, ma si trasferisce ancora giovanissimo a Venezia,
dove studia all’Accademia, maturando una formazione classica, aprendo poi un
proprio atelier nel 1775. Nel 1779 si guadagna grandi riconoscimenti col gruppo
scultoreo Dèdalo e Icaro, esponendolo alla festa dell’Ascensione.
Nel 1781 lo scultore si trasferisce a
Roma, subendo subito l’influenza delle idee di Mengs e di Winckelmann, potendo
anche osservare modelli importanti della statuaria antica.
Nel 1783 gli viene commissionato il
monumento funebre di Papa Clemente XIV, e l’anno appresso quello di Papa
Clemente XIII. Canova lavora prevalentemente a Roma, risiedendovi pure per
il resto della vita, ad eccezione di vari soggiorni nei luoghi di origine e dei
viaggi a Vienna, a Parigi e a Londra. Tra il 1798 ed il 1803, realizza il
monumento funebre a Maria Cristina d’Austria. Al culmine della notorietà, nel
1804, Canova ritrae Napoleone, ottenendo di seguito moltissime commissioni da
committenti nobili e facoltosi di mezza Europa. Si spegne a Venezia nel
1822.
Il
neoclassicismo è lo stile che, nato a Roma, s’afferma a partire dal 1770 circa,
e che ha come antefatto culturale quel grande movimento di idee noto col
termine di illuminismo. Gli illuministi, attraverso il libero pensiero, si
proposero di realizzare un mondo nuovo, governato da leggi ispirate
all’uguaglianza sociale, cancellando per sempre i privilegi del clero e di una
nobiltà inetta e in piena decadenza morale. La conseguenza storica
dell’illuminismo, furono prima la rivoluzione americana e poi la rivoluzione
francese. La rivoluzione francese nacque dal supremo disegno di creare una società
«stabile ed armoniosa» per dirla con le parole di Isaiah Berlin «fondata su
principi immutabili: un sogno di perfezione classica…» I dogmi, il rigido assetto sociale e i privilegi dell’antico regime crollarono sotto la
luce della ragione e di un idealismo intransigente. Con la stessa forza rivoluzionaria,
il neoclassicismo segnò la fine del capriccioso, polveroso, sensuale e fatuo
rococò.
Il termine
di neoclassicismo, che fu coniato alla fine dell’Ottocento in senso
spregiativo, farebbe pensare a una corrente artistica di mero e convenzionale
rifacimento dell’arte greca e romana. Fu al contrario un movimento giovane, eversivo e
travolgente, che mirò a realizzare un risorgimento delle arti,
una rinnovata rifioritura artistica simile a quella rinascimentale. Gli artisti
e i teorici lo chiamavano semplicemente il vero stile.
Un vento di
trasformazione cominciava a soffiare nei salons parigini, rinfrescandone
l’atmosfera chiusa e profumata, eliminando curve e codini rococò, soffiando via
gli ornamenti delicatamente fragili: boccioli di rosa e conchiglie e cupidi
incipriati con i sederini delicatamente imbellettati come le guance, tutte le
figure della commedia dell’arte in posa e le altre squisite frivolezze e
perversità che avevano fatto la delizia di una società di gusti difficili,
ultrasofisticata… (Hugh Honour).
Il teorico del “vero stile” fu J. Winckelmann, il quale sosteneva che bisognava
“imitare” i grandi maestri antichi. Ma imitare non significava – secondo il suo
pensiero - copiare, bensì fare propri e utilizzare i modelli e i canoni
estetici degli artisti antichi, in un processo catartico di produzione del
nuovo e del moderno. E infatti, il neoclassicismo è a tutti gli effetti uno
stile moderno, come moderna è la neoclassica estetica del sublime, che
si riassume in superamento della contemplazione, con un forte coinvolgimento
spirituale e sentimentale nel godimento della bellezza.
Il neoclassicismo nacque per reazione
al rococò, ma divenne ben presto uno stile profondo, portatore di alti valori
etici e morali, avversatore dei dogmi e dell’ignoranza, della superstizione e
della dissolutezza. Il suo decadimento fu dovuto alla banalizzazione che ne
fece il periodo napoleonico, che lo trasformò in uno stile celebrativo e
retorico, rappresentativo della grandeur imperiale. Cosa questa che favorì la
graduale affermazione del romanticismo anche in chiave antifrancese.
Molti pensano, sbagliando, che
neoclassicismo e romanticismo siano due contrapposte e del tutto differenti
correnti artistiche. Per come la penso io, il romanticismo fu l'evoluzione
naturale del neoclassicismo, che aveva esaurito ben presto i suoi temi e la sua
linfa innovativa. Sia l'uno che l'altro movimento procedettero insieme per un
certo periodo ed ebbero molto in comune, compresa l'estetica del sublime.
Erano, in buona sostanza, quasi due facce della stessa medaglia,
rappresentavano entrambe quel mondo e quella società moderna che stavano
nascendo impetuosamente, e spesso una corrente sconfinava e si cibava nell'altra,
o la negava con violenza, dimostrano implicitamente di riconoscerla come
riferimento importante.
Diversi erano però e i temi e la
rappresentazione degli stati d'animo. Diversa era la visione dell'uomo, che
stava diventando l'unico libero padrone delle proprie idee e delle proprie
creazioni.
Fonti bibliografiche: NEOCLASSICISMO, Hug Honour, Einaudi,
1993.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA SCOPO ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO, ED È RIVOLTO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.
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