Francisco Goya, La rivolta del 2 maggio 1808 contro i
mamelucchi (1814, olio su tela, 268 x 347 cm.) Madrid, Museo del
Prado.
Francisco Goya, Le fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla
montagna del Principe Pio (1814, olio su tela, 266 x 345 cm.) Madrid,
Museo del Prado.
PREMESSA
Rivolta
del 2 maggio 1808 contro i mamelucchi alla Puerta del Sol e Fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla montagna del
Principe Pio costituiscono un episodio importantissimo e del tutto
sottovalutato nella storia dell’arte moderna.
I due quadri
furono realizzati dal grande artista spagnolo nel 1814, a spese del Consiglio
di reggenza spagnolo, per ricordare il pesante tributo di sangue pagato dal suo
popolo, coraggiosamente oppostosi all’invasione francese del 1808. Essi,
contrariamente a quanto si vede nei manuali scolastici eppure in altri più
scrupolosi testi, andrebbero osservati necessariamente insieme, l’uno come
conseguenza dell’altro, in quanto rappresentativi di due momenti concatenati di
un’unica vicenda storica.
Banalmente,
secondo una pigra routine, si sceglie di commentare soltanto delle Fucilazioni,
spesso per evidenziare la concezione che l’intellettuale Goya aveva della
storia, per il suo rifiuto della guerra, per l’avversione ad ogni forma di
violenza e sopraffazione. A ciò si aggiunge lo strano caso critico di ritenere
la Rivolta un dipinto stilisticamente non all’altezza
dell’altro. Non lo si reputa comunemente un capolavoro, in buona sostanza.
Conclusione questa che dipende più da un superficiale pregiudizio e non da
un’attenta osservazione.
Io qui, ora,
tenterò una spassionata rivalutazione del dipinto dei rivoltosi, fin troppo
snobbato, reputandolo un capolavoro come il susseguente delle tragiche
esecuzioni, ritenendolo indispensabile per la lettura dell’altro, in un
rapporto di causa ed effetto.
IL FATTO STORICO
Andiamo con
ordine, partiamo dal principio di tutto l’accadimento storico, dall’antefatto.
Napoleone Bonaparte per attuare il suo ambizioso piano di blocco continentale,
per limitarne la potenza navale dell’Inghilterra e isolarla dai commerci con
l’Europa, prospettò al primo ministro spagnolo Manuel de Godoy la necessità del
passaggio di truppe francesi sul territorio spagnolo con lo scopo di occupare
il Portogallo, impedendone l’utilizzo dei porti agli inglesi. Tutto ciò fu
deciso con il Trattato di Fontainebleau di spartizione del Portogallo, che
ovviamente fu sconfessato da Bonaparte, che aveva ben altre mire, volendo fare
di Spagna e Portogallo un unico regno per Giuseppe Bonaparte. Cosicché un
esercito francese, tre volte più numeroso di quanto stabilito nel trattato,
30.000 uomini, al comando del generale Gioacchino Murat, penetrò in Spagna,
occupando Madrid, il 23 marzo del 1808.
Per esser
breve dirò, che il dì seguente, come da accordi, si concretizzò l’abdicazione
dell’inetto Carlo IV in favore del figlio Ferdinando VII, i quali, convocati in
seguito a Bayonne da Napoleone, saranno a loro volta costretti a lasciare il
trono al fratello dell’imperatore, fatto questo conosciuto come le abdicazioni
di Bayonne.
Nel tempo
che Carlo IV e Ferdinando VII erano impegnati a discutere con Bonaparte a
Bayonne, a Madrid venne costituito una giunta di governo in loro
rappresentanza, soggiogata dal pugno di ferro di Murat, il quale decise il
trasferimento degli altri due figli di Carlo IV da Madrid a Bayonne. Questa
risoluzione fu pure accettata dalla giunta di governo in un consiglio svoltosi
nella notte tra l’1 e il 2 di maggio.
All’alba del
2 maggio il popolo madrileno, per contrastare la deportazione dei figli di
Carlo IV, Francesco di Paola e Maria Luisa di Borbone, insorse, facendo ricorso
a coltelli ed altre armi improvvisate. Gli scontri più sanguinosi si ebbero
presso la Puerta de Toledo e la Puerta del Sol,
dove i rivoltosi si erano ammassati per impedire l’entrata dei rinforzi
francesi in città.
LA RIVOLTA
Nella Rivolta
del 2 maggio 1808 contro i mamelucchi alla Puerta del Sol, o molto più
semplicemente Dos de mayo, Goya ricostruisce pittoricamente lo
scontro sicuramente più esaltante e cruento, nel quale i patrioti madrileni si
scontrano con una formazione di corazzieri e di mamelucchi, mercenari turchi,
risoluti e ben addestrati, dalle appariscenti divise orientaleggianti.
Il dipinto è
straordinariamente interessante per la forte carica di patriottismo che
l’autore riesce a trasmette, unita a un appassionato senso di partecipazione
all’evento. La sommossa viene rappresentata in tumultuoso moto, determinato
dalla calca dei rivoltosi che assale i cavalleggeri stranieri alle spalle,
spingendoli in avanti, costringendoli a serrarsi, in un moto impetuoso
impazzito dei cavalli, simile a un mare in tempesta. Ma molti dei patrioti,
coraggiosamente, affrontano gli invasori anche frontalmente, armati solo di
coltelli, in una lotta disperata e insieme rabbiosa, nella quale corazzieri e
mamelucchi, stanno per avere la peggio.
La scena è
perfettamente organizzata nello spazio della grande piazza che dà su una delle
più importanti porte d’ingresso alla città. La piazza è vista in prospettiva
frontale, con il punto di fuga basso e alquanto decentrato verso sinistra.
Dietro i palazzi allineati che chiudono l’ampio slargo si distingue il profilo
irregolare di imponenti fabbricati, immersi in una luce grigiastra, e nell’aria
fumosa e polverosa degli scontri.
Sul suolo
sterrato giacciono i cadaveri deturpati dei combattenti con attorno le loro
armi, uno iddossa la divisa militare degli invasori, cui si contrappongono i
patrioti caduti con gli ordinari abiti civili. Sopra i loro corpi senza vita,
infuria la mischia, coi ribelli valorosi dalle facce furenti che accerchiano i
cavalieri, che disperatamente agitano le loro sciabole. Un mamelucco, con la
sua esotica uniforme e il suo turbante, è stato sbalzato dalla sella del suo
bianco destriero e ucciso a coltellate, mentre un altro sta per fare la stessa
fine, in una voluta evocazione della cacciata dei conquistatori arabi, pur
lontana nel tempo ma sempre presente nella coscienza degli spagnoli.
Ciò
che sorprende nell’immagine è però l’anticipazione di tutta una serie di
accorgimenti, che sono in tutto e per tutto romantici, come la rappresentazione
macabra dei cadaveri sgozzati, in un realismo crudo che anticipa i cadaveri in
primo piano della Zattera della Medusa di Géricault e
della Libertà che guida il popolo di Delacroix, come pure il
moto violento e convulso del combattimento anticipa l’avanzata trionfale e
persino retorica dell’intero popolo francese oltre la barricata. E certamente i
cavalli impegnati nel combattimento di Goya ricordano sicuramente quelli
berberi impegnati nella famosa corsa nel carnevale romano dipinti da Géricault.
In effetti
nel Dos de mayo, un fatto di storia recente, gli elementi romantici
sono molti, come il dinamismo e il realismo della visione, come la composizione
svincolata da schemi precisi, come il vivo colorismo e il tratto libero, che si
rendono utili e funzionali al tema illustrato, epico e nazionalista.
Nella Rivolta del 2 maggio 1808 contro i mamelucchi alla Puerta del
Sol i personaggi dell’illuminista Goya sono i cittadini madrileni,
nei loro abiti da lavoro, sono operai artigiani e bottegai, madrileni in
genere, in un’idea di popolo sicuramente più liberale di quella di Delacroix,
che ricorre ad una elencazione delle varie classi sociali. Il popolo di Goya
sono i cittadini, uniti soprattutto da un vincolo di appartenenza: eroi per un
giorno ma non per caso, martiri il giorno appresso.
1814 - Goya, Dos de mayo
1819 - Géricault, La Zattera della Medusa
1830 - Delacroix, La Libertà che guida il
popolo
La
sanguinosa sollevazione madrilena del 2 maggio 1808 contro le truppe di
occupazione francesi fu repressa nel sangue. Ma peggiori furono le ritorsioni
che seguirono, con l’emanazione di un decreto per la costituzione di una
commissione militare controllata dal generale Grouchy, con l’autorità di
mandare a morte tutti coloro che avevano preso parte alla rivolta: centinaia di
arditi madrileni, quasi tutti appartenenti agli strati più bassi della
popolazione. Al contrario, i nobili e i ricchi borghesi non subirono
rappresaglie, avendo accettato con malcelato opportunismo la tirannia di Marat.
LE FUCILAZIONI
Nel
conseguenziale Fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla montagna del
Principe Pio si rappresentano le esecuzioni dei rivoltosi che
seguirono all’insurrezione del giorno avanti, in cui traspare evidente il forte
turbamento dell’animo dell’autore. Il quadro è una sua commossa testimonianza
del crudele accadimento, resa con grande effetto espressivo e forza drammatica.
Ma al di là
del valore patriottico e storico-documentale, Los fusilamientos del 3
mayo, costituisce soprattutto una severa riflessione dell’autore sul senso
sanguinario e illogico della guerra, in una concezione disillusa e antieroica
della storia, costruita sulle brame dei potenti.
Il massacro
avviene nella notte calda di primavera, in un luogo isolato, poco distante dal
centro antico di Madrid, alla luce di una grossa lampada cubica posata in
terra.
Vittime e
carnefici, bene e male, sono tangibilmente separati in due gruppi dal calcolato
effetto di luminescenza della lampada, che illumina tragicamente i disperati in
attesa del supplizio, delineando pure le sagome dei fucilieri.
Il plotone
d’esecuzione è visto di spalle, come burattini senza identità, ad accentuarne
l’implacabilità di sordidi strumenti di morte. Cosicché i colori smorti e
freddi delle divise dei militari si contrappongono ai toni più caldi del gruppo
dei rivoltosi in terrificante attesa dei colpi mortali, come a rafforzare la
spietata e ottusa determinazione dei giustizieri rispetto all’angoscioso stato
dei condannati.
Centro
ideale della rappresentazione è la figura inginocchiata in camicia bianca e con
le braccia aperte, messa contro un declivio terroso, come per offrire il
proprio petto alle pallottole dei boia. Il suo volto è percorso da
un’espressione di terrore e, col suo gesto da martire laico, rivendica
strenuamente le ragioni dell’insurrezione, in un ultimo impulso d’eroismo. Un
altro condannato, accanto a lui guarda sgomento davanti a sé, e un altro
ancora, un monaco, stringe i pugni, come per sottrarsi alla paura e ribadire
insieme il suo coraggio di ribelle, mentre c’è chi si copre il volto per la
disperazione e chi si raccomanda l’anima al Signore.
Davanti a
loro, un altro poveraccio, già fucilato, giace esanime in terra in una pozza di
sangue. Sullo sfondo, sotto cielo nero e senza stelle si distingue il profilo
della città, appena accennato con poche pennellate sicure ed essenziali. La
scena del martirio, che taluni associano per varie analogie alla sacra
rappresentazione della crocifissione, è un susseguirsi di gesti semplici e
solenni insieme.
Anche
nelle Fucilazioni del 3 maggio 1808 sulla montagna del Principe Pio la
visione pittorica di Goya è realistica e già tutta romantica, tesa
all’esaltazione dei sentimenti vivi e veridici dell’uomo. L’esecuzione è
innovativa e magistrale, assolutamente moderna, col colore dato in modo
immediato e risolutivo, con pennellate larghe e materiche, ad accentuare il dramma
che si compie, con la percepibile emozione e partecipazione al dolore da parte
dell’autore, un’artista che colma di serietà di pensiero la sua
pittura.
IL FATTO STORICO: CONCLUSIONE
La
rivolta madrilena, compresa la rappresaglia che ne seguì non fu vana.
Successivamente, gli spagnoli, soccorsi e sostenuti dagli inglesi, furono in
grado di contrastare con azioni di guerriglia gli occupanti francesi, riuscendo
a darsi istituzioni proprie. Nel 1814, col ritorno al trono di Ferdinando VII,
era già in vigore la cosiddetta Costituzione di Cadige, una vera e
propria costituzione liberale concepita sul modello inglese, promulgata
dalle Cortes, antico parlamento medioevale, nel 1812.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO (DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI).
© G. LUCIO FRAGNOLI
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