Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Deposizione o
Sepoltura di Cristo (1602 - 1604),
olio su tela ( 300 × 203 cm), Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.
Egli
allora (Giuseppe
d’Arimatea), comprato un lenzuolo, lo
calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro
scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l’entrata del sepolcro.
Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove
veniva sepolto (Marco XV, 46 e 47).
“LA DEPOSIZIONE”
O “SEPOLTURA DI CRISTO”
Un anno dopo l’esecuzione dei dipinti della
Cappella Cerasi in di Santa Maria del Popolo (1600-1601), per la benevola
intercessione del Cardinale Federico Borromeo, il Caravaggio ottenne un’altra
importantissima commissione pubblica, conferitagli da Girolamo Vittrice, per
una Sepoltura di
Cristo o Deposizione, da collocarsi sull’altare della Cappella dei Vittrice, nella Chiesa
Nuova, concessa agli Oratoriani di San Filippo Neri, vicinissimi al Borromeo e appartenenti anch’essi all’ala pauperista
della Controriforma, che faceva capo allo stesso Cardinale.
La Chiesa Nuova, progettata dall’architetto
Martino Longhi il Vecchio, fu quasi totalmente edificata tra il 1586 ed il
1588, ristrutturando l’esistente chiesa di Santa Maria in Vallicella, che era
stata ampliata con l’aggiunta di due navate laterali all’unica navata della
preesistente costruzione, con la ulteriore realizzazione di cinque cappelle per ciascun lato
del corpo basilicale più quelle del transetto.
Alla morte di Martino Longhi, i lavori di
completamento furono condotti dal figlio Onorio – inseparabile amico del
Caravaggio – il quale, tra il 1600 ed il 1602, con la supervisione del padre
oratoriano Giovan Battista Guerra, ultimò con proprio progetto la Cappella di
San filippo Neri.
La Sepoltura di Cristo (o Deposizione) fu definita dalla critica ottocentesca come
un “funerale di una tribù di zingari”, giudizio questo condiviso anche da
qualche critico moderno. D’altra parte, molti studiosi del nostro tempo vedono
in essa una battuta d’arresto nell’evoluzione stilistica caravaggesca,
riscontrando nell’equilibrio e nella compostezza del gruppo dei personaggi un
avvicendamento ai coevi affreschi carracceschi di Palazzo Farnese.
Il Baglione, lo Scannelli e il von Sandrart
reputarono La Sepoltura di Cristo la migliore opera del Merisi. Ad essi si
associò l’abate Giovanni Pietro Bellori, che così ne commentò: Ben tra le megliori opere, che uscissero dal
pennello di Michelangelo si tiene meritatamente in istima la Deposizione di
Cristo nella Chiesa Nuova de’ Padri dell’Oratorio; situate le figure sopra una
pietra nell’apertura del sepolcro. Vedasi
in mezzo il sacro corpo, lo regge Nicodemo da piedi, abbracciandolo sotto le
ginocchia, e nell’abbassarsi le cosce, escono in fuori le gambe. Di là San
Giovanni sottopone un braccio alla spalla del Redentore, e resta supina la
faccia, e l’petto pallido à morte, pendolo il braccio col lenzuolo; e tutto
l’ignudo è ritratto con forza della più esatta imitatione. Dietro Nicodemo si
veggono alquanto le Marie dolenti, l’una con le braccia sollevate, l’altra col
velo à gli occhi, e la terza riguarda il Signore.
Gli studiosi, soprattutto dal punto
iconografico, hanno proposto varie chiavi di lettura dell’opera, tra le quali
mi pare interessantissima quella di Le Grave, che non a torto sostiene come
nell’opera siano congiuntamente presenti i motivi della Deposizione, della
Pietà, e dell’Estremo Commiato innanzi al sepolcro e come il grande lastrone di
pietra richiami direttamente la Pietra maculata dell’unzione, sulla quale il
corpo esanime del Cristo fu cosparso d’unguenti profumati, prima d’essere
tumulato, e su cui si incisero sotto forma di macchioline bianche le lacrime
della Madonna. La pietra, si sa per certo, era custodita a Costantinopoli fino
all’anno 1204, quando la città fu saccheggiata dai crociati, i quali, molto
probabilmente, la trafugarono, facendone perdere ogni traccia.
L’iconografia dell’opera è alquanto fedele a
quella tradizionale: i personaggi radunati sul lastrone sono San Giovanni e Giuseppe
d’Arimatea (o Nicodemo, come riferisce Bellori), che sostengono il corpo senza
vita di Gesù, Maria di Magdala, Maria Madre di Joses e Maria di Cleofa con le
braccia alzate al cielo.
© G. LUCIO FRAGNOLI
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
R.LONGHI, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma, 1968.
A.CHASTEL, Storia dell’arte italiana, Newton Compton Editori, Laterza, Bari,1993.
G.P.BELLORI, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Ristampa dell’edizione romana del 1672, A. Forni Editore, S.Bolognese,1977.
M.MARINI, Caravaggio, Newton Compton Editori S.r.l., Roma, 1989.
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