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sabato 14 ottobre 2023

L'ORGOGLIO DEL PAGLIACCIO, il nuovo romanzo di G. Lucio Fragnoli

La vendetta. Era l’unica possibilità che mi avevano lasciato gli “assassini” della mia anima e i “ladri” della mia pubblica onorabilità. Anima e rispettabilità mi erano state tolte per sempre e nessuno al mondo me le poteva più restituire. Nemmeno la giustizia dei tribunali.

La vendetta soltanto ci restituisce il vigliacco rispetto degli altri e punisce equamente la scellerataggine che cancella la nostra ignominia.

Soltanto la vendetta ci riscatta dallo stato di dolorosa bassezza in cui ci hanno costretto, ove bene e male si confondono nella nostra coscienza, da cui scompaiono per sempre l’amore e l’amicizia, in un esaltante trionfo della morte, unica dionisiaca bevanda che pone fine alla nostra sete di giustizia.  



G. Lucio Fragnoli
L'ORGOGLIO DEL PAGLIACCIO
Rrossura, pag. 148  
Data di pubblicazione: 11 settembre 2023

EUROPA EDIZIONI 
Collana Edificare universi  
 ISBN: 1220142964
EAN 9791220142960 

Acquistabile in libreria o tramite Internet, sugli store Mondadori, Feltinelli, Ibs, Hoepli, Amazon ecc, al prezzo di Euro 14,90.

PRESENTAZIONE

Nel suo nuovo romanzo l'autore narra la singolare storia di Don Osvaldo, un orefice di successo. Un uomo che si è fatto con le sue mani scalando i gradini delle gerarchie sociali. Intorno alla sua figura orbitano vari altri personaggi, donna Josephine e donna Matilda, l’effeminato Parfum e la travesta Fernande, don Mimì e donna Filomena, donna Carmela e Salvatore, che da lui dipendono o che di lui si servono. Ma ci sono anche l’artista Maria Sole e lo sciupafemmine Giammaria Adalberto, padre Quasimodo Frasca e gli spioni Barbagallo, Ludmilla e Sciaboletta, il commissario Cacace e cert’altri tizi a fare da comparse. Si tratta, insomma, di un variegato circo di parvenus e profittatori, di buffoni e giocolieri: una commedia tutta napoletana, in cui ognuno recita la propria parte secondo le proprie convenienze. La scelta di accompagnarsi a Donna Matilda è calcolata, Don Osvaldo ha infatti bisogno di figurare bene in società e di un blasone aristocratico che nobiliti la sua proficua professione. Quando però viene a scoprire del tradimento di lei accade qualcosa di imprevedibile nella sua mente. Perduta la dignità e precipitato in uno stato di paranoia, l’uomo architetterà una vendetta in grande stile, senza lasciare nulla al caso. Tra horror, satira e noir, Giuseppe Lucio Fragnoli costruisce un romanzo unico nel suo genere, cinematografico, a cui il lettore più raffinato non saprà resistere. 

  
Giuseppe Lucio Fragnoli è nato a Castelforte (LT) il 12 dicembre 1956. Laureato in Architettura, è docente e scrittore, blogger e storico dell’arte. Ha pubblicato i romanzi: La festa dei cani (1999), Quell’ impicciatissima vicenda di donne diavoli e altre stranezze (2000), Miracolo al bar (2001), Ottocento (2002), Tutta colpa di Capuozzo(2002), Nero napoletano (2003), La canzone di Lola (2005), Una balorda faccenda di camorra – rifacimento di Nero napoletano – (2008), Edwige salvami (2010), La festa dei cani – rifacimento – (2013), Il tempo magico – rifacimento di Miracolo al bar – (2017), La Dea Terra (2017), Noir napoletano – secondo rifacimento di Nero napoletano (2018), La Gialla Rosa del Papuk – rifacimento di Quell’impicciatissima vicenda di donne diavoli e altre stranezze – (2019), Ottocento – rifacimento – (2020), La festa dei cani – riedizione – (2021), La canzone di Lola – riedizione – (2022), la raccolta di racconti Storie crudeli (2012) e il saggio critico Caravaggio e le Storie di San Matteo (2018). Ha pubblicato, inoltre, propri racconti nelle antologie Giallo Latino V Edizione, I Racconti di Sabaudia 2006, Racconto Latina 2006. Ha ottenuto vari riconoscimenti in importanti concorsi letterari. 





mercoledì 28 dicembre 2022

L'UGUAGLIANZA DAVANTI ALLA MORTE (Ėgalite devant la mort) di William-Alphonse Bouguereau

 

William-Alphonse Bouguereau (La Rochelle, 1825 – La Rochelle, 1905), L’uguaglianza davanti alla morte (1848, olio su tela, 141 x 269 cm) Musée d’Orsay, Parigi.

LETTURA DELL’OPERA 

L’uguaglianza davanti alla morte fu dipinto da Bouguereau a 23 anni, mentre ancora studiava allÉcole des beaux-arts, per essere presentato ed esposto al Salon del 1848. Su uno dei disegni preparatori l’autore annotò: 

Uguaglianza. Nel momento in cui l’angelo della morte stenderà sopra di voi il suo sudario, la vostra vita non sarà servita a nulla se non siete stati capaci di fare il bene sulla terra”. 

Si capisce, dalle sue parole e osservando l’opera, cosa volesse dire al pubblico della maggiore rassegna artistica europea dell’epoca. Voleva sicuramente affermare che la vita va vissuta virtuosamente, dalla parte dei magnanimi e dei giusti, contro gli ingordi e i malvagi, per presentarsi al giudizio degli uomini e del Signore con l’anima incorrotta dalle colpe e dal disonore. 

Cosicché l’artista immagina il corpo senza vita di un uomo, disteso  sulla pietra tombale del suo sepolcro, nudo, senza nessun ornamento e nessun avere, giacché nessuna cosa può seguirlo nel dominio oscuro della morte. Sprofondato già nel grande sonno egli è divenuto inesorabilmente uguale a ogni suo simile. L’angelo della morte è sceso su di lui per coprirlo con un candido lenzuolo funebre e per condurlo nel remoto e misterioso regno dei morti. 

L’uguaglianza davanti alla morte è un soggetto perfettamente neoclassico, in una visione estetizzante della morte, che esclude lorrido e il brutto, il macabro e il putrefatto, i riluttanti scheletri medievali e barocchi, simboli stessi della morte e della fugacità della vita. Ma alla composta visione neoclassica Bouguereau abbina un tonalismo gelido e metafisico, in una inquietante dimensione di surrealtà. 

Dal cratere greco a figure rosse di Eufronio con la Morte di Sarpedonte. I personaggi alati sono le personificazioni del Sonno e della Morte, ossia Ipnos, dio del sonno, figlio della Notte e fratello di Thanatos, dio della morte. 

Guerin, Ritorno di Marco Sesto, particolare della moglie morta.


Brevissima biografia di William-Alphonse Bouguereau

William-Alphonse Bouguereau, nato a La Rochelle il 30 novembre del 1825, studiò prima a Bordeaux, dove frequentò una scuola di disegno e pittura, completando poi la propria formazione a l’École des Beaux-Arts a Parigi, dove si trasferì all’età di 20 anni, diventando anche allievo di François-Ėdouard Picot, insieme a Cabanel. Nel 1850 vinse il Prix de Rome, soggiornando quindi tre anni in Italia. Tornato a Parigi si sposò e aprì uno studio proprio, ottenendo subito grande fama, non solo in Francia, per via dei successi ai vari Salons parigini, ma anche in Inghilterra e persino negli Stati Uniti. Nel 1885, tra i vari riconoscimenti, gli fu assegnata la Legion d’Onore. Fu sicuramente tra i maggiori esponenti della pittura accademica, caratterizzandosi però per un puro e esemplare formalismo unito a una restituzione del reale nitida e perfezionistica, trasposta in una visione complessivamente ideale. Morì a la Rochelle il 19 agosto 1905.

 

© G. LUCIO FRAGNOLI

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI

 

 

 


LA GIOVINEZZA DI BACCO (La jeunesse de Bacchus) di William-Alphonse BOUGUEREAU

 

William-Alphonse Bouguereau (La Rochelle, 1825 – La Rochelle, 1905), La giovinezza di Bacco (1884, olio su tela, 331 x 610 cm)collezione privata.

LETTURA DELL’OPERA

La grande tela con La giovinezza di Bacco fu dipinta da Bouguereau in tre mesi, alla fine dell’anno 1883, molto probabilmente, ma firmata e datata 1884 ed esposta al Salon dello stesso anno. L’artista immagina la scena mitologica di Bacco, dio del vino e dei misteri, della carnalità e dell’ebbrezza, ancora bambino e in un baldanzoso e lento procedere, scortato da satiri e menadi, tutti nudi o discinti. Il dio dell’ebrezza, figlio di Zeus e della mortale Semele, è al centro del corteo con le braccia levate in aria e un tamburello in una mano, portato in spalla da un fauno. Lo precedono satiri musicanti e baccanti danzanti. In testa alla sfilata due centauri suonano chi le nacchere e chi il flauto, con appresso un satiro suonatore di piatti e due menadi ballanti, una col tirso in mano e l’altra con le nacchere. Ci sono pure due amorini capricciosi, uno dei quali suona il triangolo. Dietro il dio bambino una baccante tiene un grappolo d’uva in una mano, mentre un’altra intreccia le mani con un satiro in unelegante movenza di danza. Un’altra menade, caduta per la l’ebbrezza o per la troppa euforia, viene sollevata dall’altra danzatrice completamente nuda e volteggiante. Chiude lallegra e profana processione il brutto quanto saggio Sileno, gran precettore di Bacco, in groppa a un asino. È ubriaco, ovviamente, così due fauni lo aiutano a tenersi ritto sul dorso del somaro – come nell’affresco del Trionfo di Bacco e Arianna di Annibale Carracci nella Galleria Farnese –. Nel contempo un satiro dall’aspetto alquanto femmineo, messo di spalle, coglie da una pergola selvatica grappoli d’uva per riporli nel tamburello d’una baccante sorridente. Lo spassoso corteo potrebbe alludere al viaggio di Bacco che porta il vino dall’oriente all’occidente. Ma poco importa. Ciò che colpisce è la precisione plastico-disegnativa e l’indovinata postura di ogni personaggio, la resa realistica – assai fotografica – e la perfetta disposizione d’insieme degli stessi, ma pure la loro collocazione spaziale rispetto alla quinta alberata e allo sfondo luminoso e profondo. Tutto è calcolato e ben equilibrato, compreso il cromatismo quasi freddo, attenuato e ben accordato delle figure in contrasto con le frondose chiome scure, messe contro il chiarore opalino dell’orizzonte collinare. Alcune posture appaiono parecchio naturali e aggraziate altre un po artificiose, ma sempre armoniche. Il quadro è sicuramente classico, o meglio tardo-neoclassico, più che accademico, se si considera che il gusto e l’interesse per tali soggetti permane per tutto l’Ottocento – da parte di un certo ma ragguardevole pubblico –.

 

William-Alphonse Bouguereau , La giovinezza di Bacco,  NationalmuseumStoccolma (Svezia).


Brevissima biografia di William-Alphonse Bouguereau

William-Alphonse Bouguereau, nato a La Rochelle il 30 novembre del 1825, studiò prima a Bordeaux, dove frequentò una scuola di disegno e pittura, completando poi la propria formazione a l’École des Beaux-Arts a Parigi, dove si trasferì all’età di 20 anni, diventando anche allievo di François-Ėdouard Picot, insieme a Cabanel. Nel 1850 vinse il Prix de Rome, soggiornando quindi tre anni in Italia. Tornato a Parigi si sposò e aprì uno studio proprio, ottenendo subito grande fama, non solo in Francia, per via dei successi ai vari Salons parigini, ma anche in Inghilterra e persino negli Stati Uniti. Nel 1885, tra i vari riconoscimenti, gli fu assegnata la Legion d’Onore. Fu sicuramente tra i maggiori esponenti della pittura accademica, caratterizzandosi però per un puro e esemplare formalismo unito a una restituzione del reale nitida e perfezionistica, trasposta in una visione complessivamente classica e ideale. Morì a la Rochelle il 19 agosto 1905.

Satiro, copia romana da Prassitele, Musei Capitolini, Roma. 
Menade danzante, bassorilievo, Museo del Prado, Madrid.

© G. LUCIO FRAGNOLI


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sabato 24 dicembre 2022

LA BATTAGLIA DELLE PIRAMIDI (Bataille des Pyramides) di ANTOINE-JEAN GROS

 

Antoine-Jean Gros (Parigi, 1771 – Meudon, 1835), La battaglia delle Piramidi (1810, olio su tela, 389 x 311 cm) Reggia di Versailles (Francia).

LA BATTAGLIA DELLE PIRAMIDI 

La cosiddetta Battaglia delle Piramidi fu combattuta, dopo la conquista di Alessandria da parte dei francesi, il 21luglio del 1798, nella piana di Giza, a pochi chilometri dalle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, tra l’armata guidata da Napoleone Bonaparte e le truppe mamelucche ottomane comandate da Murad Bey e Ibrahim Bey. Nello scontro Bonaparte adottò la strategia militare della fanteria schierata in quadrati, con al centro cavalleria e artiglieria, con cui riuscì a respingere gli attacchi dei cavalieri mamelucchi e ad avere infine la meglio su un esercito numericamente molto superiore. La vittoria fu sicuramente determinante per la successiva conquista del Basso Egitto. Ma l’ambizione di Napoleone di conquistare il vicino oriente fu quasi del tutto vanificata dalla vittoria della flotta inglese del contrammiraglio Nelson contro quella francese comandata dal viceammiraglio D’Aigalliers nella Battaglia del Nilo o della Baia di Abukir del 1° e 2 agosto. 


LETTURA DELL’OPERA 

 Il momento rappresentato è quello in cui la battaglia infuria violenta nella sterminata piana desertica antistante le gigantesche piramidi, che fanno da sfondo al dipinto. In lontananza, nel furore dello scontro, nella polvere sollevata dai cavalli in corsa, nei fumi delle cannonate, si distinguono gli opposti schieramenti, sotto un cielo offuscato dai nuvoloni grigiastri delle esplosioni impastati con la sabbia. I francesi disposti secondo quadrati fronteggiano i più numerosi mamelucchi, schierati in minacciosi squadroni diversamente organizzati. In primo piano, su un’altura appena conquistata dalle truppe francesi, con al seguito il suo stato maggiore di alti ufficiali, sopraggiunge il generale Napoleone a cavallo che, dall’alto del rilievo sabbioso, controlla l’evoluzione del combattimento sotto gli sguardi decisi dei suoi coraggiosi generali e degli altri graduati che lo attorniano, pronti a ricevere disposizioni e a entrare in battaglia. Bonaparte tiene sicuro le briglie del suo destriero inquieto con la stessa mano con cui indica la mischia furente, mentre con l’altra levata in alto si appresta ad impartire un ordine ai suoi valorosi ufficiali a cavallo con le spade già levate in alto, smaniosi di lanciarsi alla carica con i loro ardimentosi cavalleggeri. Negli atteggiamenti di controllata determinazione e di fierezza di ogn’uno dei comandanti si intuisce già l’esito vittorioso della battaglia. Ma la fermezza e la nobiltà dei condottieri francesi, contrasta col gruppo dei nemici appena sconfitti. Uno di loro, un giovane nero, giace riverso a terra senza vita. Nell’indifferenza dei prodi francesi, altri due guerrieri vinti e disarmati, umiliati e buttati in terra, chiedono remissivamente clemenza, come l’anziano combattente ottomano, fermo e in piedi dietro di loro, che abbraccia in segno di protezione i suoi giovani figli impauriti, per i quali invoca salvezza. Nella loro disperazione si capisce e si anticipa la completa disfatta mamelucca.

Nella Battaglia delle Piramidi sono presenti precisi elementi stilistici neoclassici, come la disposizione bilanciata dei personaggi, la rappresentazione dell’eroismo e del coraggio dei soldati francesi, che si contrappone ai sentimenti meno elevati dei vinti, ma parimenti importanti. A tali elementi si aggiungono misuratamente una sensibilità coloristica e una preferenza per il movimento che rimandano all’esperienza formativa italiana – a Rubens soprattutto –, che sono più evidenti in dipinti come La battaglia d’Abukir (1806), in una elaborazione dell’immagine sostanzialmente romantica.  

Brevissima biografia di Antoine-Jean Gros 

Nato a Parigi nel 1771, Antoine-Jean Gros fu tra i migliori allievi di Jacques-Louis David. Dopo aver partecipato senza successo al Prix de Rome, anche per allontanarsi dai virulenti sviluppi rivoluzionari, nel 1793 partì per l’Italia, dove restò per otto anni, soggiornando per lungo tempo a Genova, ma anche a Milano, rivestendo frattanto l’incarico di commissario della requisizione delle opere d’arte. A questo periodo appartiene il famoso dipinto Ritratto di Bonaparte al ponte d'Arcole (1796). Ritornato a Parigi nel 1801, lavorò ad un impegnativo ciclo di grandi opere storiche, tra cui La battaglia d’Abukir (1806), anticipatrice della visione romantica. Fino alla caduta di Napoleone realizzò ritratti, soggetti mitologici e grandi tele storiche, tra cui La battaglia delle Piramidi (1810), che gli garantirono fama e prestigio sociale. Sotto il regno di Carlo X continuò a lavorare ancora su soggetti storici e mitologici, ripristinando nel suo stile una certa compostezza classica. Ma la sua fama andava purtroppo scemando. Deluso per l’insuccesso ottenuto al Salon del 1835, decise di togliersi la vita, annegandosi nella Senna.      

© G. LUCIO FRAGNOLI


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venerdì 23 dicembre 2022

L'ANGELO CADUTO (L’Ange déchu) di ALEXANDRE CABANEL


Alexandre Cabanel (Montpellier, 1823 – Parigi, 1889), L’angelo caduto (1847, olio su tela, 121 x 189,7 cm) Museo Fabre, Montpellier (Francia).

LETTURA DELL’OPERA

Il ribelle Lucifero, angelo ambizioso e superbo, desideroso di diventare come Dio, per volere dello stesso Onnipotente è precipitato giù dal Paradiso, trasformandosi nel più potente dei demoni, simbolo stesso del male. Ora giace a terra sconfitto, nella convulsa agitazione di una moltitudine di angeli sospesi nel cielo e scossi da quanto è appena accaduto. Il bellissimo essere celeste, con le ali cangianti da toni azzurri in toni bruni e sciupate dalla caduta, che non sembrano più in grado di tenerlo in volo, ha assunto un aspetto umano. Ma il corpo è ancora energico e armonioso: ha conservato molta dell’originaria sublime bellezza. Adagiato su un pianoro roccioso, stringe le mani con forza, contraendo i muscoli in un minaccioso moto di ripresa delle forze, indomito e consapevole del nefasto compito che lo attende. Nello sguardo, dettaglio risolutore del dipinto che più colpisce il riguardante, gli si legge il dolore per l’umiliazione subita, ma soprattutto l’ira feroce e uno spaventevole livore, misti a un desiderio di efferata vendetta. Ne L’angelo caduto lo stile retorico pompier si disfa proprio nella vibrante tensione fisica e interiore del personaggio, in una visione complessivamente romantica. Tale intenso contrasto psicologico e viva fisicità fanno dell’opera certamente un capolavoro della pittura francese dell’Ottocento.


«Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi: Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono (...) Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso». (Isaia 14,12-15).



Brevissima biografia di Alexandre Cabanel

Alexander Cabanel, nato a Montpellier il 28 settembre del 1823, frequentò a Parigi l’École des Beaux-Arts. A ventidue anni vinse il Prix de Rome, che gli permise di completare la sua formazione, soggiornando a Roma per cinque anni a spese dello stato francese. Espose varie volte al Salon con successo ed ebbe molti prestigiosi riconoscimenti. Fu pittore famoso e assai apprezzato in vita, ma purtroppo completamente snobbato dalla critica moderna, pure se taluni studiosi ne hanno capito l’importanza, specialmente riguardo agli sviluppi della pittura cosiddetta art pompier, ovverosia un’arte ufficiale e accademica tanto cara al potere, stilisticamente impeccabile ma esageratamente retorica e pretenziosa. Morì a Parigi il 23 gennaio del 1889.




© G. LUCIO FRAGNOLI

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giovedì 17 novembre 2022

IL RITORNO DI MARCO SESTO (Le retour de Marcus Sextus) di Pierre-Narcisse Guérin

 

Pierre-Narcisse Guérin (Parigi, 1774 – Roma, 1883), Il ritorno di Marco Sesto (Le retour de Marcus Sextus), firmato e datato Guérin F an 7, 1799 - olio su tela - 217x243 cm, Musée du Louvre, Parigi. 

ANALISI DELL’OPERA

Esposto con grande successo al salon del 1799, Il ritorno di Marco Sesto era così presentato nel catalogo:Marco Sesto, sfuggito alle proscrizioni di Silla, al suo ritorno trova la figlia in lacrime al capezzale della moglie morta”. In realtà il caso rappresentato, quello di un patrizio romano esiliato dal dittatore Silla che ritorna alla sua dimora e trova la moglie morta e la figlia distrutta dal dolore, è del tutto inventato. Si tratterebbe, secondo alcuni studiosi, soltanto di un acuto accorgimento dell’autore per rappresentare nella storia antica un fatto a lui contemporaneo, ossia la condizione degli émigrés, i cittadini emigrati dal 1789 in poi nei paesi vicini, principalmente per sfuggire alle violenze e alle tensioni causate dalla rivoluzione, che proprio allora facevano ritorno in patria.

A interpretare in tal modo il dipinto di Guérin fu innanzitutto il pubblico del tempo, che accorse in massa per ammirare il quadro, e che vide nel personaggio dell’abbattuto Marco Sesto l’emigrato francese appena ritornato, spogliato dei propri beni e deprivato dell’affetto dei familiari morti ammazzati, così come vide il sanguinario Robespierre dietro la spietata figura del dispotico Silla. Con una tale interpretazione la questione fu appassionatamente sostenuta da molti intellettuali e su alcuni giornali da vari articolisti. Questo a dimostrazione del generale favore riscosso dal Ritorno di Marco Sesto che Guérin, ammiratore e leale antagonista di David ripropone al Concorso Decennale del 1812.

Le retour de Marcus Sextus è un dipinto autenticamente neoclassico, per lo stile aulico, per la visione ideale ed estetizzante, per il messaggio in esso contenuto. L’esule creato da Guérin, Marco Sesto, un patrizio, sicuramente, provato dalle sofferenze patite nel duro esilio infertogli dal tiranno ha appena fatto ritorno nella sua domus, impoverita, spogliata d’ogni ornamento. Ha trovato la moglie morta, con l’incarnato illividito e avvolta in un lenzuolo. Si è seduto compostamente sul letto dove è adagiata la morta e le ha preso una mano nelle sue, in un’ultima dimostrazione d’amore, mentre la figlia, affranta dal dolore, è stesa ai suoi piedi e gli stringe affettuosamente una gamba, posando il capo sul ginocchio, come per unirsi a lui nella sofferenza e nel contempo per confortarlo.

Nel piccolo ambiente poveramente arredato e riservato alle esequie, delimitato da una bassa parete di legno oltre cui si distingue appena un androne buio e disadorno, filtra dall’alto a sinistra un fascio di luce limpida e calda, che illumina magistralmente la scena, malinconica e commovente, le poche cose e i personaggi, disposti in un ordine preciso, quasi solenne, ponderato con l’ordine spaziale.

I gesti sono seri e significativi, come le espressioni dei volti dei sofferenti, soprattutto quella impressa sul volto del proscritto, sospeso in un angosciato sgomento, con lo sguardo fisso, rassegnato e disperato insieme.

Al tema storico antico, presumibilmente rapportato alla contemporaneità, corrisponde il tema della morte e una forte carica di sentimentalismo proprio del neoclassicismo. In questo caso i sentimenti sono quelli dell’amore e del dolore, della sofferenza e dell’affetto familiare, dell’ingiustizia e della sopraffazione. Ma il messaggio compressivo è come un monito, che invita fortemente alla riconciliazione, dopo i soprusi perpetrati iniquamente nel corso della rivoluzione.  

 

© G. LUCIO FRAGNOLI

(...) Nel 1799 uno dei migliori seguaci di David, P. N. Guérin, espose al Salon un quadro raffigurante Il ritorno di Marco Sesto: un romano che, esiliato da Silla, era ritornato per trovare la moglie morta e la figli annientata dal dolore. Gli émigrés che proprio allora erano rientrati in Francia videro naturalmente l’opera come un’allegoria della stessa condizione, anche se è assai dubbio che questa fosse stata l’intenzione di Guérin quando cominciò il quadro nel 1797. (...)  

Hugh Honour

Bibliografia essenziale:

Hugh Honour, Neoclassicismo, 1980, Einaudi, Torino.

Autori Vari, Storia universale dell’arte. Il XX secolo,1991, De Agostini, Novara.

 

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L’ODALISQUE À L’ESCLAVE (ODALISCA CON SCHIAVA) - 1842 - di Jean-Auguste-Dominique INGRES

 

Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’odalisque à l’eslave (1842 - olio su tela - cm 76x105), Walters Art Museum, Baltimora (Stati Uniti).

 Lettura dell’opera

L'opera è una replica del dipinto omonimo del 1839, oggi conservato al Fogg Art Museum di Cambridge, eseguita  dal maestro nel 1842 con la collaborazione degli allievi Paul e Hippolyte Flandrin. Siamo all’interno di un ambiente di una dimora orientale aperta su un lussureggiante giardino con una vasca centrale, fontanelle e giochi dacqua, ove si intravedono appena alcuni altri personaggi che si deliziano nell'ozio. L’ambientazione, che ricalca in larga parte quella del dipinto del ’39, molto verosimilmente è ripresa da miniature persiane in possesso dell'artista. 

Un’odalisca, dal corpo flessuoso e immerso in un bagno di luce, è adagiata a terra in primo piano, su un tappeto a motivi geometrici, in una postura voluttuosa, con la testa poggiata su cuscini di seta e con le gambe avvolte da un leggero lenzuolo. La “venere esotica” ha posato su un copriletto damascato il suo ventaglio di piume di struzzo, accanto a un bruciaprofumi, e volge lo sguardo ammaliatore verso il volto della suonatrice, in un segreto e languido pensiero.

La musicante, in posizione più arretrata rispetto alla fascinosa ottomana, anche lei seduta sul tappeto, in un atteggiamento trasognato e leggermente lascivo, è vestita vagamente alla turca con panni di seta e un turbante. Oltre una balaustra che divide in due l’ambiente si scorge la figura di un eunuco che vigila discreto sulle donne.

Ogni dettaglio del dipinto evidenzia il carattere erotizzante del raffinato contesto orientale, reso con precisione fiamminga e con l’uso di una luce morbida e diffusa.

Si capisce come, quello di Ingres sia un oriente di sogno, lontano e misterioso, in cui è possibile appagare qualsiasi fantasia. È un oriente in cui vengono evocate situazioni di sofisticato erotismo, in una propria e particolare concezione della bellezza ideale, fatta di morbida e plasmabile corporeità, riconducibile a modelli generalmente rinascimentali.  


Jean-Auguste-Dominique Ingres, L’odalisque à l’eslave (firmato e datato 1839 - olio su tela - cm 72x100), Fogg Art Museum, Cambridge (Stati Uniti). 


Jean-Auguste-DominiqueAutoritratto.

Jean-Auguste-Dominique Ingres, La grande odalisca (1814 - olio su tela - cm 86x162), 

Parigi, Museo del Louvre.


Ingres, come ha scritto Giulio Carlo Argan, “È stato l’ultimo degli italianizzanti ma, più degli antichi studiava Raffaello, Bronzino, Poussin. Non è stato un neo-classico, del Neo-classicismo non accettava né la tendenza rivoluzionaria, davidiana, né la conservatrice, canoviana. Tra il suo ideale e l’ideale romantico di Delacroix v’era un contrasto che divenne ostinata, serrata polemica. Non aveva interessi ideologici e politici(...) Il soggetto, classico o romantico che fosse, non lo interessava, concepiva l’arte come pura forma(...) Per lui, dunque, il bello o la forma non è nella cosa in sé, ma nella relazione tra le cose. Questo insieme di relazioni sarà chiaro quando tutte le componenti della forma (linea, chiaroscuro, colore, luce) formeranno un tutto unitario, una sintesi.”

(…) «Non ci sono in questa figura (La Grande odalisca, n. d. a.) né ossa, né muscoli, né sangue, né vita, né rilievo, nulla infine di ciò che costituisce l’imitazione dal vero. La carnagione è grigia e monotona, non c’è neppure, a propriamente parlare, alcuna parte veramente saliente, tanto la luce è piatta, senza arte e senza cura.» (…)

C. P. Landon, Salon de 1819, in Annales du Musée.

 «Secondo noi, uno degli aspetti che innanzitutto distinguono il talento di Ingres, è l’amore per le donne. Il suo libertinaggio è serio, pieno di convinzione. Ingres non appare mai tanto a proprio agio ed efficiente come quando impegna il suo genio con le grazie di una giovane beltà. Muscoli, pieghe della carne, ombre delle fossette, ondulazioni della pelle: non manca nulla.» (…)

C. Baudelaire

 «”Sono un Gallo ma non di quelli che hanno saccheggiato Roma.” Fedele a se stesso fino all’ultimo, Ingres è l’artista che porta lo spirito del Neoclassicismo oltre l’età napoleonica, interpretando anche i temi più romantici in chiave classicheggiante. Il BAGNO TURCO esprime la sua capacità straordinaria di cogliere il reale in termini di pura pittura e di forma ideale. Le sue bagnanti e odalische sono figure ispirate a Raffaello, ma rese con una maggiore attenzione ai valori di superficie, alla luminosità intrinseca dei colori.»

F. Zeri 

© G. LUCIO FRAGNOLI

Vita in breve di Ingres         

Jean-Auguste-Dominique Ingres nasce a Montauban il 20 agosto del 1870. Figlio maggiore del pittore Jean-Marie-Joseph, è scolaro di David, a Parigi dal 1797.

Nel 1801 vince il Prix de Rome con il dipinto Achille e gli inviati di Agamennone. L’anno successivo apre un atelier nell’ex convento dei Cappuccini, giungendo presto ad una notorietà che gli permetterà di eseguire nel 1804 il ritratto di Napoleone I console e due anni dopo Napoleone in trono.

Nel 1810 risiede e lavora stabilmente a Roma e nel 1813 sposa Madeleine Chapelle. In un periodo che va fino al 1914 dipinge opere di grande effetto come il Sogno di OssianRaffaello e la FornarinaPaolo e Francesca e la Grande odalisca. Dopo la caduta di Napoleone nel 1815, lavora per una committenza ridotta e meno facoltosa.

Nel 1819 invia Ruggero e Angelica e la Grande Odalisca al Salon, riscuotendo giudizi poco favorevoli dalla critica.

Nel 1820 si trasferisce a Firenze e nel 1823 è eletto membro corrispondente dell’Accadémie des Beaux-Arts di Parigi. Dal 1824 è a Parigi e l’anno seguente vi apre uno studio in vie Visconti, ricevendo la Legion d’Onore e venendo anche eletto membro dell’Accadémie des Beaux-Arts.

Nel 1827 dipinge l’Apoteosi di Omero.

Nel 1834 Ingres è di nuovo a Roma come direttore dell’Accademia di Francia.

Nel 1841 ritorna a Parigi.

Nel 1849 muore la moglie, ma l’artista si risposa, due anni dopo, con Delphine Ramel. All’Esposizione universale del 1855 espone 43 dipinti in una sala a lui esclusivamente dedicata. Nel 1862 è nominato senatore.

Il 1867, alla sua morte, viene allestita una grande mostra in suo onore all’École des Beaux-Arts.

Bibliografia:

Annalisa ZanniI Gigli dell’ArteIngres, 1990, Cantini Editore, Borgo S. Croce, Firenze.

Hugh Honour, Neoclassicismo, 1980, Einaudi, Torino.

Piero Adorno, L’arte italianaDal Settecento ai nostri giorni Vol. 3, 1994, D’Anna, Firenze.

Giorgio Cricco e Francesco Di Teodoro, Itinerario nell’arte Vol. 4°, Versione Arancione, Dal Barocco al Postimpressionismo, 2021, Zanichelli, Bologna.

G. C. Argan, Storia dell’arte italiana, Vol. 3°, 1993, Sansoni, Milano.

F. Zeri, Cento Dipinti, IngresBagno turco, 1998, Rizzoli, Milano.

Autori Vari, Storia universale dell’arte. Il XX secolo,1991, De Agostini, Novara.

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI. 


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