Gustav Klimt (1862-1918), Giuditta – Judit und Holofernes – (1901, olio su tela, 82 x 42 cm) Vienna, Österreichische Galerie.
DESCRIZIONE DELL’OPERA
L’immagine
è inserita all’interno di una ricercata cornice dorata con inciso il titolo
dell’opera e progettata in funzione del soggetto raffigurato.
L’eroina
biblica è rappresentata frontalmente, semisvestita, con un incarnato tenue e
vellutato, con un seno e il ventre e il braccio scoperto. Il volto, dalla pronunciata
mandibola, dal naso e dalle labbra sottili e morbosamente dischiuse, dalle
sopracciglia folte e dagli occhi socchiusi e languidi, trasuda ancora l’eccitazione
per il crimine appena compiuto, anche se per un nobile fine.
Un pregiato
abito ingemmato e ornato con vistose finiture d’oro le cade sulle spalle. Le
cinge il collo un ricco e spesso collier d’oro, lavorato secondo l’attuale e
raffinato stile Art Nouveau, come per dimostrare la sua condizione di
donna ricca e influente. Giuditta posa la sua mano sul capo mozzato del
generale assiro, da lei brutalmente assassinato nell’incoscienza dell’ubriachezza,
come un evidente segno di dominazione.
Della testa
tagliata di Oloferne, messa in basso a destra della tela, si vede solo una
metà, dipinta in monocromia, come un particolare imprescindibile della
narrazione. Pochi tratti bastano per definire l’oppressore. Che però è assolutamente
secondario nell’impostazione compositiva, giacché è la carnale vedova che
occupa la scena, col sensualismo emanato dal suo corpo, con la sua espressione impudica
di seduttrice, stupenda e intrigante, sanguinaria e spregiudicata, sprezzante e
soddisfatta del delitto appena commesso. Cosicché Giuditta ci appare più come una
figura di donna maledettamente fatale, dotata di un magnetismo potente,
cui si è destinati a soccombere, che giustiziera biblica.
Alle
spalle della conturbante femmina vi è un inusuale paesaggio appiattito,
stilizzato e monocromo, con alberi e palmizi in oro, semplificati con tratti
spessi ed essenziali che rimandano a una vaga idea di ornamentazione
medievaleggiante. Lo strano contesto di natura astratta e impreziosita si
staglia contro uno sfondo scuro, come i ricciuti capelli della donna.
Tuttavia,
solo il suo corpo emerge dalla bidimensionalità del dipinto, accentuata tra
l’altro dalle zone auree e dal pignolo decorativismo. Difatti, bidimensionalità
e decorativismo sono, insieme ad altre colte citazioni, gli elementi cardine
dello stile di Klimt, in una visione erudita ed estremamente raffinata,
espressione stessa di una società prestigiosa ed esigente, frutto della
magnificenza dell’impero austroungarico, prima della disastrosa decadenza.
LA
VICENDA BIBLICA
La
singolare storia di Giuditta è narrata in un libro della Bibbia a lei
interamente dedicato. Si tratta però di un libro teologico, non storico, in cui
la protagonista incarna l’intero popolo d’Israele salvato da Dio, seppure per
mano umana. Giuditta, animata da una grande fede nel Signore, restò vedova del
marito Menasse, morto a causa di una insolazione.
Nella
Bibbia si dice: «Era bella d’aspetto e molto avvenente nella persona, inoltre
suo marito Menasse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti
e terreni ed essa era rimasta padrona di tutto. Ma nessuno poteva dire una
parola maligna al suo riguardo, perché temeva molto Dio.»
Ebbene,
la città di Betulia era assediata dall’esercito di Oloferne,
generale di Nabucodonosor, con gli abitanti stremati dalla fame e dalla
sete, rassegnati a capitolare. Giuditta si offrì allora di salvarli, recandosi
nell’accampamento nemico in compagnia di un’ancella, con lo scopo di sedurre e
uccidere il comandante degli assiri, spacciandosi per traditrice del suo popolo
e pronta a mettersi al servizio del nemico. Entrata nelle grazie del generale,
che l’aveva accolta e ospitata per tre giorni, dato che la bramava dal primo
istante che l’aveva vista, Giuditta il quarto giorno, quando si fece buio,
riuscì a restare da sola con Oloferne nella tenda del guerriero, con lui
buttato sul divano, ubriaco fradicio, sotto un baldacchino intessuto di
porpora, d’oro e di gemme.
Sempre nella
Bibbia è scritto: «Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del
capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostandosi al letto,
afferrò la testa di lui per la chioma e disse: “Dammi forza, Signore Dio
d’Israele, in questo momento.” E con tutta la forza di cui era capace lo colpì
due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù
dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò
la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei
viveri e uscirono tutt’e due, secondo il loro uso, per la preghiera;
attraversarono il campo, fecero un giro nella valle, poi salirono sul monte
verso Betulia e giunsero alle porte della città.»
Bene,
dell’intera e lunga narrazione, che fa parte delle quattro salvazioni
d’Israele, l’artista viennese sceglie il momento meno cruento e drammatico, il
momento successivo all’assassinio, in perfetta aderenza alla cultura estetica della Vienna imperiale del tempo.
GIUDITTA II
Klimt nel 1909 dipinse una seconda versione di Giuditta, che lui stesso a volte confondeva con la spietata e ammaliante figura di Salomè. Che, sappiamo, chiese ad Erode la testa del Battista, per compiacere la madre Erodiade, adultera consorte di Erode Filippo e amante dello stesso Erode. Ebbene, il secondo dipinto, sicuramente di minore intensità, in effetti ci fa pensare più a Salomè che a Giuditta, per via anche della postura e dell’ondeggiamento delle vesti del personaggio principale, che sembra diabolicamente danzare, semisvestita, intorno al macabro trofeo del capo reciso dell’ultimo profeta.
Gustav Klimt (1862-1918), Giuditta II – Salomè – (1909, olio su
tela, 178 x 45 cm) Venezia, Galleria d’Arte Moderna.
IL PECCATO
Un’opera
precedente a Giuditta, che ne anticipa sostanzialmente l’impostazione, è Il
Peccato di Franz Von Stuck, in cui l’impudica e androgina figura femminile,
emerge appena dalle tenebre del male.
“Immaginiamo la linea sottile che porta verso il male, quello che Van Stuck rappresenta come peccato, un Peccato attraente assai, con questa virago dai capelli così lunghi da giungere al pube e dove la serpe del male appare fatale quanto lei stessa. Occhi brillanti e penetranti, rialzati dalle squame che appaiono come pietre preziose.” (Philippe Daverio, ne Il Secolo lungo della modernità.)
Franz Von Stuck, Il
Peccato, (1893, olio su tela, 95 x 60 cm) Berlino, Staatlische Museen,
Nationalgalerie.
VITA DI GUSTAV KLIMT IN BREVE
Gustav Klimt nacque a Baumgarten il 14 luglio del
1862. Frequentò una scuola d’arte professionale (la Kunstgewerbeschule)
anziché l’accademia. Il successo arrivò presto e, nel 1897, divenne il maggior
esponente della Wiener Secession, movimento artistico antiaccademico, versione
austriaca della corrente Art Nouveau. Fu anche attivo collaboratore con Ver
Sacrum, rivista collegata alla Secessione. Nel 1905 lasciò la Secessione
fondando una nuova associazione di artisti, la Kunstschau, ma restando
sempre al centro della vita culturale viennese. Morì il 6 febbraio del 1918.
IL POST SOPRA RIPORTATO HA ESCLUSIVO CARATTERE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AI MIEI ALLIEVI (DELLA CLASSE 5E DEL LICEO "ALBERTI" DI MINTURNO -LT-), AGLI APPASSIONATI E AGLI STUDENTI TUTTI.
© G. LUCIO FRAGNOLI
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