ANALISI DELL’OPERA
La
Primavera, eseguita intorno al 1482, fu molto
probabilmente commissionata dal Magnifico come dono per le nozze del cugino
Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici con Semiramide Appiani, o direttamente
dallo stesso Lorenzo di Pierfrancesco.
L’opera,
che rispecchia l’altezza culturale del rinascimento fiorentino e la
raffinatezza intellettuale dell’autore, è stata oggetto di varie letture e
interpretazioni. Tra le quali, per un certo periodo, ha riscosso molto credito
quella di Ernst Gömbrich, secondo cui La Primavera è ricavata da un
passo de L’Asino d’oro, di Lucio Apulèio, dove il protagonista della
storia, trasformato in asino, assiste a una rappresentazione del Giudizio di Paride in cui compaiono i
personaggi del quadro botticelliano.
Secondo
altri e, tanto per fare un altro esempio, la composizione sarebbe stata tratta
da alcuni versi delle Stanze per la
giostra del Poliziano, ispirati sempre al romanzo di Apulèio.
Di tutte
quante le interpretazioni, io ritengo anche plausibile quella avanzata dal
compianto professor Federico Zeri. Ossia che l’immagine sia stata desunta da un
brano dell’opera in latino De nuptiis
Mercurii et Philologiae di Marziano Capèlla, che novella delle nozze tra
Filologia e Mercurio e che la Primavera sarebbe la personificazione della
retorica.
Si
tratterebbe comunque di un quadro nuziale, ove alcuni storici dell’arte hanno
identificato Lorenzo di Pierfrancesco in Mercurio e Semiramide Appiani nella
figura centrale, la Castità, delle Grazie danzanti.
La scena si svolge in un giardino fiorito, contornato da aranci pieni di frutti, che evoca probabilmente il mitico giardino delle Esperiti, i cui pomi d’oro erano identificati nel rinascimento con le arance, pomi che ricordano non a caso quelli dello stemma dei Medici. Oltre i tronchi degli aranci, appena si intravede un luminoso paesaggio, che si estende un discreto effetto di profondità.
In una
visione quasi bidimensionale, Botticelli colloca nove personaggi sapientemente
disposti nello spazio del quadro intorno alla figura centrale di Venere, simbolo
stesso della primavera e che, in questo caso, coincide anche con la Venus
- Humanitas, emblema di ricercatezza e cultura, qualità queste di cui
Lorenzo di Pierfrancesco era sicuramente sprovvisto.
La
composizione, come ha scritto Giulio Carlo Argan, segue un andamento metrico e
ritmato, assolutamente analogo a quello della poesia, e va letta da destra
verso sinistra. Cala dall’alto, a destra della tela, emergendo tra i rami Zefiro, dall’aspetto azzurrognolo, che
ghermisce la ninfa Clori, estatica
sonnambula, e con il suo soffio la feconda, trasformandola in Flora, dea portatrice della Primavera,
che avanza con passo balzante da lunghe pause ritmiche.
Al
centro vi è Venere, nondimeno intesa
in senso neoplatonico come divinità dell’amore spirituale che induce al bene,
con alle spalle il mirto a lei sacro, simbolo del matrimonio, e l’alloro che
allude a Lorenzo.
Sopra di
lei il figlio Cupido, con gli occhi
bendati, sta per scoccare una delle sue frecce stregate verso il gruppo delle Grazie danzanti (Thaìla, Aglàia, Eufròsine) , che simboleggiano la voluttà, la
castità, e la bellezza (Voluptas, Castitas
e Pulchritudo), ma anche l’amore
che si dona, che si riceve e che si restituisce.
Esse,
come ha scritto Roberto Longhi, sono riprese nell’alto dalla posa unica delle
tre mani intrecciate, dopo esser state commentate per tutto il proprio sviluppo
dalla fiamma marginale cadente dei panneggi di velo! Completa la composizione
Mercurio, coi calzari alati e col pètaso del viaggiatore, il quale scaccia con
il suo caduceo le nuvole della brutta stagione e dell’infelicità.
SULLO
STILE DI BOTTICELLI
Nelle
figure delle Grazie si colgono meglio che altrove gli elementi dello stile di
Botticelli. Ed infatti, scrive Giulio Carlo Argan: Mai come qui è evidente,
nella ritmica botticelliana, il ricordo di Agostino di Duccio: i moti di quei
veli sembrano addirittura contorcersi, se non sul piano, in una profondità
minima, come nei rilievi “neo-attici” di Rimini. E, come in quei rilievi, i
corsi e ricorsi della linea tendono a sottilizzare la materia, a darle la
sostanza imponderabile della luce: più precisamente a “farsi” luce e non a
“ricevere” la luce. È attraverso quei ritmi lineari che le figure raggiungano
una condizione perfetta, quasi teorica, di diafanità; e di fatto rimarginano i
margini di maggior trasparenza dei veli. (…)
Per la
prima volta, le figure non sono più definite da una sola linea, ma da più
linee, tra le quali è impossibile stabilire quale veramente determini il
contorno del corpo… Sullo stile di Botticelli, prima di Argan, Roberto Longhi
aveva annotato: La sensualità malata di Botticelli – si è detto, e molto altro
ancora: tutto ciò non è infine che il portato inevitabile della linea
funzionale ritmica e null’altro; ed è probabilmente portato involontario, come
sempre avviene per i puri pittori. L’affinamento ritmico di un’apparenza
corporea invincibilmente vitale non può condurre che a questo eccezionalissimo
risultato, il quale va perciò riportato e goduto – sempre nel suo carattere di
espressione puramente figurativa…
SULLA
COLLOCAZIONE DELL’OPERA
La
collocazione originaria del dipinto era nel Palazzo in Via Larga, e solo
successivamente fu trasferito in Villa di Castello, dove lo vide Giorgio
Vasari, nel 1550, messo vicino alla Nascita di Venere. Il titolo con il quale è
conosciuto il dipinto deriva proprio dalla notazione vasariana: Venere che le
grazie la rifioriscono, denotando la Primavera. Nel 1853 il quadro si trovava
alla Galleria dell’Accademia, per essere studiato dai giovani artisti della
scuola. Nel 1919 venne definitivamente portato agli Uffizi.
IL
GIARDINO DELLE ESPERITI
Le
Espèriti, figlie della notte, sono tre: Espere, Egle, Erizia. Custodiscono con
il serpente Ladone l’isola – giardino sita all’estremo occidente del mondo. Nel
giardino cresce l’albero dei pomi d’oro.
LE
GRAZIE O CARITI
Il nome
di Cariti deriva da chairein, ossia
rallegrarsi. Figlie di Giove ed Eurinome, esse erano: Aglaia (ornamento), Eufrosine (gioia) e Talia (pienezza). Da loro dipendeva la piacevolezza della vita e dei
rapporti umani, legati alla gentilezza dei modi, alla buona conversazione ed
alla raffinatezza di spirito. Per tutto ciò venivano sempre associate sia alla
dea Afrodite, sia al dio Apollo. Il loro culto era diffuso specialmente ad
Orcomene in Boezia, ma erano venerate in altre città greche. Chiamate col nome
di Grazie dai romani, in origine venivano rappresentate vestite, poi ricoperte
di veli ed infine nude.
BIBLIOGRAFIA.
Breve ma veridica storia della pittura italiana, Roberto Longhi, Sansoni; Dei e
Miti, A. Morelli, Melita; Botticelli, Giulio Carlo Argan, SKIRA; Botticelli,
Marco Albertario, Elemont Art; Vivere l’arte, Fumarco – Beltrame, Mondatori;
Itinerario nell’arte, Cricco – Di Teodoro, Zanichelli; Figura, Bernini – Rota,
Laterza; Cento Dipinti: La Primavera, Federico Zeri, Rizzoli.
©
Giuseppe Lucio Fragnoli
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