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domenica 24 ottobre 2021

IL TRIONFO DI VENERE di François Boucher

  

François Boucher (1703 -1770), Trionfo di Venere, 1740, olio su tela, 130 x 162 cm – Stoccolma, Museo Nazionale.

ANALISI DELL'OPERA

Il dipinto era di proprietà del conte Carl Gustaf Tessin, che lo aveva acquistato durante un soggiorno a Parigi, e che in seguito, per far fronte ai suoi problemi finanziari, vendette al re di Svezia.

Secondo la mitologia greca, da dea orientale della fecondità, si combina col culto di una antica divinità locale legata piuttosto alla terra. In Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione. Per Esiodo la dea appartiene completamente al mondo greco. Infatti, egli racconta che Crono recise il membro del dio del Cielo, Urano, impegnato in un amplesso con la Terra.  Il fallo mozzato, galleggiando sulle onde si tramutò in candida spuma, da cui si generò la creatura divina.

Il dipinto contiene molti elementi della visione pittorica rococò francese; ossia, un senso di moto ampolloso e decorativo, e nondimeno vorticoso, la teatrale e scenografica disposizione dei personaggi, il colorismo tenue e luminoso, un evidente e gaia sensualità, la natura capricciosa e perfettamente coinvolta nella messinscena pittorica, ma anche permeata da un forte senso di grandiosità.

In un esuberante volteggio di amorini e nello svolazzo di un prezioso drappo, la dea Venere, coi capelli acconciati in una coroncina perlacea, è seduta su un trono galleggiante, su cui sono stese le proprie vesti e sulla cui base sono appollaiati dei bianchi gabbiani. Una naiade, sollevata verso di lei da un forzuto tritone, porge alla dea una fonda conchiglia argentea ricolma di collane di perle per adornarsi, mentre intorno al suo sontuoso piedistallo altre naiadi e amorini cavalcano grossi pesci e si sollazzano nel turbinio dei flutti schiumosi. Una di esse, distesa sulla schiena e cullata dalle onde si abbandona in un gesto licenzioso, mentre alle sue spalle un tritone apre – allusivamente, forse? – una conchiglia, e un altro soffia in un corno, evocandone il suono stridente nel fragore marino e in riverberi di altri suoni lontani, provenienti dal profondo paesaggio, mitico e impetuoso, che richiama alla mente luoghi arcaici e dominati da forze arcane. Si tratta di una rappresentazione della natura in una dimensione di sublimità, che anticipa gli immaginifici contesti ossianici poetati da James Mcpherson. Nella celebrazione della più bella tra le dee, Boucher ci esorta dunque alla ricerca dell’amore, del piacere e della felicità, o meglio, del diritto alla felicità. Tutto ciò ci fa capire come il Trionfo di Venere sia un quadro fondamentale per cogliere correttamente il senso veridico della pittura rococò, troppo snobbata oggigiorno nella nostra riduttiva idea – politicamente corretta – di modernità. Tale idea, o meglio, tale pregiudizio non ci permette di conoscere fino in fondo il XVIII secolo e i futuri sviluppi di molti temi romantici e persino di quelli troppo attuali. Va da sé che nel magico mondo della pittura tutto scorre in modo circolare con un ciclico ed eterno ritorno di temi, pensieri e visioni.       

VITA IN BREVE DI FRANCOIS BOUCHER

François Boucher nacque a Parigi nel 1703, figlio di un artigiano, ed ebbe come primo maestro François Lemoyne. A diciassette anni lavorò nella bottega dell’incisore Jean-François Cars, divenendo l’incisore delle opere di Antoine Watteau. Ottenne il premio dell’Accademia, nel 1723, esponendo anche un grande successo per la sua prima esposizione pubblica. Nel 1727 si recò in Italia, dove restò fino al 1731, per perfezionare la sua formazione. Nel 1734 fu ammesso all’Accademia. Dal 1740 espose regolarmente al Salon, guadagnandosi frattanto il titolo di decoratore capo della Reale accademia di Musica, dal 1744 al 1748. Nel 1765 fu nominato primo pittore, pur godendo da tempo di un alloggio al Louvre. Ma l’avversione degli intellettuali illuministi lo condannò all’emarginazione, portandolo alla tomba. Morì nel 1770.  

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.


© G. LUCIO FRAGNOLI


LA PORTA DI CALAIS – O the Roast Beef of Old England – di William Hogarth, un'astiosa satira dipinta


William Hogarth (1703 -1770), La Porta di Calais, 1748, olio su tela, 80 x 96 cm – Londra, Tate Britain.

 

ANALISI DELL'OPERA

La Porta di Calais o Il roastbeef della vecchia Inghilterra fu dipinto da William Hogarth dopo un viaggio a Parigi, fatto con altri amici artisti nel luglio del 1748, approfittando dell’armistizio che precedette la firma del Trattato di Aix-la-Chapelle, che pose fine alla guerra di successione austriaca, in cui Francia e Gran Bretagna erano schierate l’una contro l’altra. Di rientro dal viaggio, a Calais, mentre aspettava di imbarcarsi per l’Inghilterra, Hogarth stava disegnando la porta della zona portuale adornata dall’insegna inglese – dato che fino al 1558 quel sito era stato territorio britannico –, quando fu arrestato dalle guardie francesi con l’accusa di spionaggio e portato al cospetto del governatore. Trattenuto e interrogato, dimostrò, disegnando degli sbrigativi schizzi caricaturali, che era soltanto un artista. Cosicché fu così rilasciato. Poco tempo dopo il suo ritorno in patria Hogarth pensò di realizzare un quadro astioso e derisorio su quanto era gli era accaduto, cui seguì, un anno appresso, la stesura di un’incisione di identico soggetto.    

Nella scena, parecchio grottesca e dileggiante, pensata dal pittore e incisore, si vede, in posizione centrale, un garzone che imbraccia un controfiletto di manzo. Lo sta portando a una locanda inglese del porto, il Lion d'Argent, per essere cucinato, sotto gli occhi di un corpulento frate famelico, che ne desidererebbe mangiare a sazietà. Due soldati, dall’aspetto caricaturale, con le divise bisunte e lacere, stanno mangiando il rancio appena servito loro da due cucinieri, anch’essi brutti e malvestiti, con ai piedi degli zoccoli di legno. Stanno portando anche agli altri il loro pasto, una brodaglia melmosa e rancida. In primo piano, c’è un esule scozzese, certamente coinvolto nell’insurrezione giacobita del 1745. È seduto in terra, indebolito dalla misera gastronomia francese, una cipolla e una fetta di pane ammuffito. Dalla parte opposta delle monache dai lineamenti da streghe, accovacciate intorno a una cesta con dei pesci, pregano, rivolte verso la faccia disgustosa di una razza. E in ciò vi è quindi una chiara allusione al pesce che simboleggia il Cristo Figlio di Dio Salvatore. Dietro di esse e di una bancarella d’ortaggi si vede Hogarth che disegna il massiccio portale. Alle sue spalle, però, c’è un militare armato di alabarda che gli mette una mano sulla spalla e che di lì a poco lo arresterà. 

Oltre la grata sollevata della porta si vedono due preti e un chierichetto, presso una locanda che ha una colomba per insegna, che celebrano la messa, tra alcuni fedeli inginocchiati – in tutta la scena si allude, sicuramente, all’eucarestia –. Sulla croce posta alla sommità del muro di cinta del porto si vede un corvo, simbolo di eventi nefasti e infernali, in luogo della colomba della pace. Da tutto questo si evince il carattere anche alquanto blasfemo del dipinto, oltre che denigratorio dei francesi. Difatti, il titolo secondario, O, il roast beef della vecchia Inghilterra, è tratto da una ballata che afferma di come il cibo ha nobilitato i nostri cervelli e arricchito il nostro sangue e ha riso della Francia tutta vaporosa 

    Vita di Hogarth in breve

Hogarth nasce nel 1697 a Londra, il 1° novembre. Nel 1721 inizia la sua attività di incisore. Nel 1729 sposa Jane Thornhill. Nel 1731 dipinge il ciclo Carriera di una prostituta. Nel 1735 completa il ciclo Carriera di un libertino. Nel 1736 inizia a lavorare al ciclo dei Quattro tempi della giornata. Nel 1744 dipinge il ciclo Matrimonio alla moda. Nel 1745 dipinge il ciclo Matrimonio felice. Nel 1753 pubblica il saggio estetico Analisi della bellezza. Nel 1754 dipinge il ciclo Campagna elettorale. Nel 1757 è nominato consigliere dell’Accademia Imperiale di Germania e sopraintendente, in Inghilterra, delle opere di Sua Maestà. Nel 1764 muore, il 25 ottobre.


William Hogarth, Ritratto di Francis Dashwood 

Nel dipinto Francis Dashwood è rappresentato come un San Francesco in estasi. Ma come si vede è in adorazione di una dea Venere posta su una croce. Francis Dashwood fondò, nel 1755,  il famoso Hell-fire Club, oppure Monaci dell’abbazia di Medmenham. L’abbazia di Medmenham, precedentemente appartenente all’ordine cistercense, era sita sulle rive del Tamigi, dove gli adepti si divertivano con oscene parodie di riti religiosi, e con orge di ubriachezza e dissolutezza. Pare che anche Hogarth facesse parte di tale setta.

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© G. LUCIO FRAGNOLI

 


martedì 19 ottobre 2021

RAGAZZA COL TURBANTE o RAGAZZA CON ORECCHINO DI PERLA di Johannes Vermeer


Johannes Vermeer (1632 -1675), La ragazza con l’orecchino di perla, (1665), olio su tela, 44.5 x 39 cm – L’Aia, Mauritshuis.

Il quadro, oggi noto soprattutto col titolo di Ragazza con orecchino di perla, per via di una recente opera cinematografica dedicata all’autore, e piuttosto nominato come Ragazza con turbante, o per essere più precisi Mezzo busto (o testadi ragazza con turbante (o con perla all’orecchino) è firmato sul bordo superiore a sinistra della tela. Secondo alcuni la modella sarebbe l’ultima figlia di Vermeer, ma quest’ipotesi è dalla gran parte degli storici respinta. Il turbante indossato dalla ragazza, verosimilmente, faceva parte dei costumi turchi lasciati dall’autore alla sua morte. Risulta poco probabile che il dipinto fosse stato venduto all’asta allestita con le opere dello scomparso collezionista Jacob Abraham Dissius del 1696, come l’opera che recava la dicitura Busto in costume antico; estremamente artistico. In tempi successivi, nel 1882, il dipinto in questione comparve alla vendita Braam svoltasi ad Amsterdam, e fu acquistata per poco più di 2 fiorini da un acquirente registrato col nome di A. A. des Tombe, che nel 1903 lo donò al Mauritshuis  

ANALISI DELL’OPERA

Si tratta di un dipinto di piccolo formato che ritrae una ragazza dai tratti assai gentili su fondo scuro, che indossa una veste giallo senape dal colletto bianco e un turbante turchese giallo e azzurro, intonato all’abito, con un orecchino di perla all’orecchio, che le abbellisce il bel volto dalla pelle chiara. Il personaggio ha il corpo disposto di profilo, mentre il capo è volto di tre quarti. E guarda con un’espressione incolpevole, ma accattivante e vagamente indecifrabile, l’osservatore, in una posa del tutto naturale. L’immagine ha un taglio, dico tanto per farmi capire, fotografico, e riproduce l’essenziale – il volto della giovane agghindata all’orientale – in cui non vi è nessuna idea di spazio, solo uno sfondo buio, per isolare da ogni superflua entità il viso della misteriosa giovinetta, detta la gioconda del nord, per l’intrinseco magnetismo che la pervade, ma che comunque ha poco o nulla in comune alla Monna Lisa di Leonardo. Ecco dunque che l’unico elemento che resta a disposizione del maestro è la luce, la magica luce di Vermeer. È una luce morbida, calda, quella che fluisce quasi orizzontalmente verso la figura, la vera protagonista del dipinto. È una luce diffusa e naturale quella che le accarezza il viso, che sembra quasi risplendere di luce propria, così come sembrano brillare di luce propria le pupille e le tenere labbra color rosso ciliegio, come fossero gioielli, al pari della preziosa perla che le pende dall’orecchio, che vivificano la dolce donna in turbante. Una fusione di perle macinate, la definì un illustre critico, non proprio a torto.

  

 Johannes Vermeer (1632 -1675), La ragazza con l’orecchino di perla, particolare – L’Aia, Mauritshuis.

Ritratto di Johannes Vermeer.


Johannes Vermeer (1632 -1675), La ragazza con l’orecchino di perla con la sua cornice – L’Aia, Mauritshuis.

Johannes Vermeer, Ragazza con velo.

 L’Aia, Mauritshuis. 

VITA DI JOHANNES VERMEER

Johannes Vermeer nasce a Delft, nell’anno 1632. Nel 1653 sposa Catharina Bolnes, di ricca famiglia cattolica. Per poterla sposare l’artista si converte al cattolicesimo. Nello stesso anno è accettato nella ghilda dei pittori della città di Delft. Nel 1654 avviene la disastrosa esplosione della polveriera di Delft, che causa danni anche alla locanda del padre, che commercia anche quadri e che muore l’anno successivo. Nel 1657 Vermeer è in difficoltà economiche e deve servirsi di un prestito di 200 fiorini. Nel 1662 è eletto vice decano nella ghilda di San Luca. Nel 1670 muore la madre e il pittore eredita la locanda di famiglia. Nel 1672 scoppia la guerra d’Olanda. I francesi invadono i Paesi Bassi, dando luogo a saccheggi e devastazioni, ponendo fine a quella che gli storici chiamano età dell’oro della pittura fiamminga, in cui sono state prodotte più di 5 milioni di opere di vario genere. Nel 1675 Johannes Vermeer, in serie difficoltà economiche, muore, il 15 dicembre. Due anni dopo la morte dell’artista, sua moglie Catharina Bolnes ne ricorda le complicazioni degli ultimi anni di vita, scrivendo: “Nel corso della lunga e rovinosa guerra con la Francia, egli non solo non aveva potuto vendere i suoi quadri, ma per di più, con suo gran danno, i dipinti degli altri pittori che commerciava erano rimasti invenduti. Per via del grande carico dei figli [Vermeer aveva 11 figli], non avendo personali mezzi di fortuna, era caduto in un tale stato di ansietà e di decadimento che in un giorno, un giorno e mezzo era passato da uno stato di buona salute alla morte.”

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

SILVIA DANESI SQUARZINA, Vermeer, Giunti, Firenze,1990.

PIERO BIANCONI, Vermeer. Rizzoli, Milano,1996.


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© G. LUCIO FRAGNOLI

L’ODALISCA BRUNA di François Boucher

 François Boucher (1703 -1770), L’odalisca bruna, 1745, olio su tela, 53 x 64 cm – Parigi, Louvre.

ANALISI DELL'OPERA

Il dipinto rappresenta la moglie dell’artista in una posa inconsueta quanto originale, a pancia in sotto, sicuramente alquanto provocante. È una raffigurazione che rientra nel genere molto praticato dai pittori rococò, quello della scena galante, ossia di ordinari momenti di vita mondana di persone dell’alta società. A tale genere appartengono, per esempio, soggetti tipo dame alla toletta o impegnate in futili passatempi, allusive di intrighi sentimentali e di sotterfugi erotici, col coinvolgimento di mariti e amanti, come ne L’altalena di Jean-Honoré Fragonard. Era la trasposizione pittorica, in tutte le sue sfaccettature, di quella douceur de vivre che pervadeva il tempo del rococò, perfettamente espressa da Antoine Watteau in Pellegrinaggio a Citera, o Imbarco per Citera, due dipinti quasi identici, pervasi da una spensierata passionalità e leggerezza.

Nell’opera, la giovane donna – un’odalisca assai improbabile –, dalle lattee e morbide carni, è comodamente distesa a ventre in giù su un ammucchiamento di soffici cuscini e materassi, con le gambe aperte e col sederone in bella mostra. Con la candida sottoveste tirata sulla schiena, fissa il riguardante con un’espressione sottilmente compiaciuta e con malcelata malizia. L’avvenente e prosperosa femmina abbraccia mollemente un cuscino, mentre con una mano tiene gentilmente una collanina di perle. Una seconda collana di perle, una piuma purpurea e una ciocca di finti capelli biondi le tengono la capigliatura bruna raccolti sulla nuca, lasciando completamente scoperti il collo e il viso dai lineamenti delicati, impreziosito da un orecchino perlaceo a goccia che le pende dall’orecchio, dalle labbra color ciliegia e dagli occhi splendenti. 

Una luce vivida e diffusa inonda lo sfarzoso giaciglio e rifulge sul tenero incarnato, che cattura lo sguardo per l’effetto di vivezza e di un colorismo pulito e luminoso, sapientemente raffinato, dove le tinte chiare e calde ben si accordano col blu vellutato dell’enorme drappo che si stende come una armonica cascata dalla parete al materasso, in un effetto di scenografica e invitante alcova. Su un tavolinetto basso, dove l’artista ha posto la propria firma, sono poggiati un portagioie e una boccetta di essenze odorose, allusive alla pelle fresca e profumata, splendente e preziosa. 

Tutto riporta a un erotismo voluto e dichiarato, ove non traspare però una manifesta volgarità e viziosità, che restano garbatamente vinte dalla rara e tangibile bellezza e dalla soave carnalità della donna, dipinta magistralmente in un alone di stregata e stuzzicante seduzione, in un sincero invito al piacere e a godersi la vita.

François Boucher (1703 -1770), Ragazza distesa, o Odalisca bionda o Marie-Luise ‘O Murphy, 1751, olio su tela, 59 x 73,5 cm – Colonia, Wallraf-Richartz-Museum

Gustav Lundberg, Ritratto di François Boucher, 1741 olio su tela, Collezione privata.


VITA IN BREVE DI FRANCOIS BOUCHER

François Boucher nacque a Parigi nel 1703, figlio di un artigiano, ed ebbe come primo maestro François Lemoyne. A diciassette anni lavorò nella bottega dell’incisore Jean-François Cars, divenendo l’incisore delle opere di Antoine Watteau. Ottenne il premio dell’Accademia, nel 1723, esponendo anche un grande successo per la sua prima esposizione pubblica. Nel 1727 si recò in Italia, dove restò fino al 1731, per perfezionare la sua formazione. Nel 1734 fu ammesso all’Accademia. Dal 1740 espose regolarmente al Salon, guadagnandosi frattanto il titolo di decoratore capo della Reale accademia di Musica, dal 1744 al 1748. Nel 1765 fu nominato primo pittore, pur godendo da tempo di un alloggio al Louvre. Ma l’avversione degli intellettuali illuministi lo condannò all’emarginazione, portandolo alla tomba. Morì nel 1770.  

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI.  









© G. LUCIO FRAGNOLI


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