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martedì 6 luglio 2021

LA MEZZANA di JOHANNES VERMEER


Johannes Vermeer (1632 -1675), La mezzana, (1656), olio su tela, 143 x 130 cm – Dresda, Gemäldegalerie.

Il quadro è firmato e datato in basso a destra. Si tratta in fondo di una scena di genere, opera giovanile di Vermeer, nella quale c’è chi ha visto nella ragazza il ritratto della moglie dell’artista, chi altro ha ipotizzato il ritratto della suocera nell’anziana, chi infine ha congetturato un autoritratto nella figura del suonatore, per via dell’abito, molto simile a quello del personaggio del pittore nell’Atelier, o Arte della pittura. A me, di tutte queste supposizioni, la più probabile pare quella dell’autoritratto dell’autore nella figura del musico, per almeno due motivi: primo, perché non prende parte al mercimonio meretricioso, ma si limita ad accompagnare il giovanotto che sta sganciando la moneta; secondo, perché è l’unico personaggio che guarda fuori del quadro, verso l’osservatore, e brinda all’incontro amoroso: proprio come fa Rembrandt in un famoso suo autoritratto, nei panni del figliol prodigo in una locanda, con la moglie Saskia seduta sulle ginocchia che recita pure lei la propria parte. Questo, ovviamente, poco cambia nella lettura dell’opera. Catalogato come opera di Jacob Van der Meer di Ultrecht fino al 1862, faceva parte della collezione del conte Wallenstein fino al 1741, prima di essere spostato alla Gemäldegalerie. Il primo ad attribuire La mezzana a Vermeer fu Thoré Burger, nel 1860. L’attribuzione fu successivamente ampiamente condivisa da altri studiosi. 

ANALISI DELL’OPERA

L’opera, conosciuta coi titoli Dalla mezzana o La cortigiana o, più semplicemente, La mezzana, ci appare come una curiosa scena di genere – affrontata in vario modo da altri pittori –. Pure se potrebbe essere interpretata come una versione attualizzata del figliol prodigo in una locanda, pressappoco come la scena creata da Rembrandt. L’immagine ha un suo pregevole e voluto effetto teatrale, coi personaggi che occupano la scena, colti in espressioni differenti e sintomatiche, lasciando capire perfettamente cosa stanno combinando. Tra di essi, quello di fondamentale importanza, è l’anziana donna vestita interamente di nero, la mezzana, la quale ha combinato un incontro amoroso tra la ragazza dalla giacca gialla e il giovane dal cilindro piumato, con la complicità o soltanto col benestare del musicante col largo cappellone. Ma il protagonista della narrazione dipinta è certamente il giovanotto in cilindro e giacca rossa, un prodigo forestiero evidentemente, entrato nella locanda per dissetarsi e per svagarsi, per il quale la furba ruffiana ha organizzato la tresca con la sua protetta. Il forestiero, infatti, dagli occhi gentili di chi ha già tracannato qualche cervogia, mentre le palpeggia il seno, porge una moneta alla ragazza sorridente, dalle gote arrossate dalla bevanda, che apre condiscendente il palmo della mano destra. Il suo sguardo, ma anche quello del giovane, è fisso sul denaro, mentre stringe nella sinistra un calice con del liquore – del vino bollito insaporito con l’assenzio, forse, come s’usava allora –. L’amorazzo è bello che combinato, e alla ruffiana s’illuminano gli occhi in uno smorzato e malizioso ghigno. Cosicché pure il musicante, leva in alto il suo boccale di birra e brinda sorridente al sodalizio lussurioso. Come un teatrante, nel suo vistoso cappellone, guarda fuori dalla scena, e aspetta il plauso del pubblico, per la spassosa recita e per il lieto fine.     

I quattro – a questo punto è giusto dire – attori, sono sistemati in uno spazio poco precisato, definito soltanto da una disadorna parete alle loro spalle, messa a fare da quinta scenica, che termina dopo la figura femminile vestita di nero, oltre la quale si intuisce lo spazio indistinto di un altro vano. Il punto di vista coincide con gli occhi del liutista, ma un po’ spostato verso sinistra. I quattro personaggi sono in piedi, dietro uno spesso tappeto orientaleggiante poggiato su un ripiano, su cui è poggiato pure il mantello di pelliccia del forestiero, e che occupa la parte bassa del dipinto, per la metà quasi della tela. Nell’opera in questione non vediamo ancora il magistrale uso della luce e la perfetta definizione dello spazio, propri dello stile del maestro. Ma in compenso vi si riscontra una gaiezza narrativa, una rara vivezza espressiva e un colorismo assai vivace, che la rendono un capolavoro, sicuramente imprescindibile per la comprensione della pittura olandese seicentesca, detta anche del secolo d’oro.

Probabile ritratto di Johannes Vermeer.

 

Firma di Johannes Vermeer.

 

VITA DI JOHANNES VERMEER

Johannes Vermeer nasce a Delft, nell’anno 1632. Nel 1653 sposa Catharina Bolnes, di ricca famiglia cattolica. Per poterla sposare l’artista si converte al cattolicesimo. Nello stesso anno è accettato nella ghilda dei pittori della città di Delft. Nel 1654 avviene la disastrosa esplosione della polveriera di Delft, che causa danni anche alla locanda del padre, che commercia anche quadri e che muore l’anno successivo. Nel 1657 Vermeer è in difficoltà economiche e deve servirsi di un prestito di 200 fiorini. Nel 1662 è eletto vice decano nella ghilda di San Luca. Nel 1670 muore la madre e il pittore eredita la locanda di famiglia. Nel 1672 scoppia la guerra d’Olanda. I francesi invadono i Paesi Bassi, dando luogo a saccheggi e devastazioni, ponendo fine a quella che gli storici chiamano età dell’oro della pittura fiamminga, in cui sono state prodotte più di 5 milioni di opere di vario genere. Nel 1675 Johannes Vermeer, in serie difficoltà economiche, muore, il 15 dicembre. Due anni dopo la morte dell’artista, sua moglie Catharina Bolnes ne ricorda le complicazioni degli ultimi anni di vita, scrivendo: “Nel corso della lunga e rovinosa guerra con la Francia, egli non solo non aveva potuto vendere i suoi quadri, ma per di più, con suo gran danno, i dipinti degli altri pittori che commerciava erano rimasti invenduti. Per via del grande carico dei figli [Vermeer aveva 11 figli], non avendo personali mezzi di fortuna, era caduto in un tale stato di ansietà e di decadimento che in un giorno, un giorno e mezzo era passato da uno stato di buona salute alla morte.”

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

SILVIA DANESI SQUARZINA, Vermeer, Giunti, Firenze,1990.

PIERO BIANCONI, Vermeer. Rizzoli, Milano,1996.

 

IL POST SOPRA RIPORTATO HA CARATTERE ESCLUSIVAMENTE DIVULGATIVO E DIDATTICO, DESTINATO PERTANTO AGLI STUDENTI E AGLI APPASSIONATI. 

 

© G. LUCIO FRAGNOLI

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