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Ho pubblicato La festa dei cani per la terza volta, con la preziosa collaborazione di Rino Gagliardi, per Edizioni Emmegì di Castelforte (LT). Il fatto che Emmegì sia una casa editrice di Castelforte mi rende ancor più orgoglioso, perché sta a significare che nel nostro piccolo comune, situato all’estremo lembo meridionale del territorio pontino, non mancano persone di spiccate capacità imprenditoriali, oltre che di talento artistico.
Ma
veniamo al libro, pubblicato in cartaceo e in ebook, acquistabile su Amazon
o su Rakuten Kobo e su altri siti. Si tratta del primo romanzo
che ho scritto, e quindi vi sono particolarmente affezionato. Mi fa pure
piacere che i molti lettori che lo hanno letto ne sono rimasti entusiasti, compresi
anche critici ed esperti.
Scrissi La Festa dei cani tra l’ottobre del
1997 e il dicembre del 1998. Nel mese di maggio del 1999 lo pubblicai – in gran
parte a mie spese – con Arti Grafiche Caramanica di Minturno (LT), con
l’apprezzabile collaborazione del compianto, buon Fernando Caramanica, che mi
onoro di aver conosciuto e che ringrazio qui, adesso, di tutto cuore. La
prefazione la scrisse la collega e amica Maria Cristina Calzibelli, che pure
ricordo con affetto e ringrazio.
Il romanzo lo avevo sviluppato inaspettatamente, mentre
lavoravo svogliatamente a un lungo e palloso saggio, della cui originalità non
ero più convinto e di cui non voglio dire altro.
L’intenzione era quella di raccontare, divertendomi anche
parecchio, una storia in cui fossero rappresentati ambienti e personaggi a me
familiari, cercando di distruggere quell’insulsa immagine di arretratezza e
monotonia ordinariamente appioppata ai piccoli centri di provincia. I fatti mi
diedero certamente ragione. Il libro ebbe un discreto successo, suscitando
interesse e curiosità, anche se il testo era un po’ acerbo, e occorreva
certamente una rilettura più attenta e severa. Ma, d’altra parte, a me andava
bene così.
Fu allora che decisi di continuare con la narrativa, che mi
aveva completamente catturato, dopo la mia prima dilettantesca esperienza di
romanziere. Tanto che l’anno appresso pubblicai Quell’impicciatissima
vicenda di donne diavoli e altre stranezze, con Maremmi Editori di
Firenze, sempre con la prefazione di Maria Cristina Calzibelli. Nel 2001 pubblicai Miracolo al bar, con
Edizioni Emmegì di Castelforte (LT), con l’immancabile prefazione della
professoressa Calzibelli, dando vita così a una trilogia di storie ambientate
nella tanto snobbata provincia, tanto per completare la rassegna dei vari
contesti e dei molteplici tipi umani.
Ero convinto che, anche in quelle che alcuni esperti
considerano ambientazioni minori, potessero svilupparsi situazioni avvincenti e
pregne di significati. Ritenevo, come ritengo tuttora, che non esistono le
piccole e le grandi storie, ma soltanto le buone e le cattive storie. Quelle
ben scritte e quelle scritte male.
Dopodiché continuai la mia avventura di narratore iniziando
la trilogia – mai completata – sull’Ottocento e quella che soltanto io
chiamo trilogia di città, inoltrandomi con un certo entusiasmo nel
filone giallo-noir. Ma questo è tutto un altro discorso.
Nel novembre del 2013 pubblicai nuovamente La festa dei
cani, per la seconda volta, con postfazione di Michele Graziosetto, con Edizioni
Emmegì di Castelforte, dell’amico Rino Gagliardi, che pure ringrazio
moltissimo, per la sua assoluta disponibilità ad assecondare ogni mio progetto.
Tale nuova stampa la pensai soprattutto per soddisfare il
desiderio di moltissimi lettori che non erano riusciti a leggere l’opera uscita
nel ’99 per l’assoluta scarsità di copie rimaste in circolazione – io stesso ne
possedevo soltanto una, malamente rovinata, tra l’altro –.
Tuttavia, nel preparare quella ristampa, attuai una rigorosa revisione del testo originario, cui seguì una radicale rielaborazione e reinvenzione della parte finale, con sostanziose aggiunte. Ne venne fuori quasi un nuovo romanzo, che poteva essere riletto con piacere anche da coloro che ne conoscevano la prima versione, trovandoci ovviamente delle sorprese. Anche in quel caso si registrò un accettabile consenso, specialmente tra i giovanissimi. Molto piacevole, tra le altre gratificanti manifestazioni, fu per me l’incontro che ebbi con gli studenti del Liceo Scientifico Teodosio Rossi di Priverno, in cui intervenne anche il Professor Michele Graziosetto e la Preside dell’istituto Anna Maria Bilancia. Svolgemmo una interessantissima Lezione sull’arte del romanzo.
Da allora sono trascorsi circa otto anni, ma La festa dei
cani ha continuato ad appassionare i lettori. Con mia grande soddisfazione,
naturalmente.
Così, qualche mese fa ho ripreso nuovamente a lavorare sul
testo, senza però ravvisare la necessità di attuare alcuna variazione. Ho
apportato soltanto qualche lieve, insignificante correzione, riscontrando
gradevolmente che ormai non si poteva né aggiungere né togliere nemmeno una
parola alla narrazione ultimamente definita. E comunque, visto il persistente
interesse del pubblico per le spassose vicende dei Dogs Party e lo scarseggiare
di copie disponibili, dopo previo accordo con l’amico editore Rino Gagliardi,
ho deciso di riproporre il romanzo ai lettori per la terza volta.
Naturalmente si è cercato di migliorare tutto ciò che si poteva ancora migliorare: materiale e grafica di copertina, grana e colore della carta, impaginazione, dimensione e tipo dei caratteri, eccetera. Penso di aver avuto una buona idea e di aver fatto un buon lavoro. Alla prossima.
2 maggio 2021
G. Lucio Fragnoli
La copertina de La festa dei cani dell'edizione 2013.
POSTFAZIONE del Prof. Michele Graziosetto inclusa nell’edizione del 2013.
La Festa
dei cani ritorna
all’attenzione dei lettori, con una pregevole edizione per i tipi di Edizioni
Emmegì di Castelforte. Dopo tre lustri, l’Autore – Giuseppe Lucio Fragnoli
– ha voluto rinnovarci il suo pensiero narrativo operando, sul precedente
impianto, consistenti tagli e soprattutto modificando la conclusione, ma senza
alterare l’ordito generale e senza sottrarci quell’aria di famiglia che ci era
tanto piaciuta. E in qualche modo dobbiamo essergli grati per aver gelosamente
conservato qua e là – della lingua – l’impasto vernacolare-dialettale che dà
alla fabula lo specifico dell’appartenenza territoriale: il sud pontino double
face con rimandi al romanesco e al napoletano. Il racconto, quindi, è il frutto
di un articolato recupero dell’humus ambientale, che l’Autore vive con passione
e – possiamo affermare – con divorante condivisione, per le sue tradizioni (che
rischiano oggi di impallidire – se non scomparire – con il passare del tempo),
per il sentimento genuino proprio della sua gente, per la profonda generosità
dell’amicizia.
Ecco,
quindi, secondo noi, la parola chiave – l’amicizia – che dà valore e senso al
romanzo: un valore ormai in disuso o fortemente ridimensionato nella sua vasta
gamma di riferimento. Non lo si sarebbe, infatti, potuto costruire questo
romanzo senza il tenace legame tra quattro-cinque amici, intorno ai quali ruota
un’intera comunità fatta di relazioni, di intrecci, di pettegolezzi, di invidie
e di gesti generosi. Per di più quell’aria di famiglia non viene minimizzata in
ossequio a una moda propria della globalizzazione, che tende a omologare tutti
e tutto.
La
comunità di Fortecastello, nei momenti di difficoltà, non ripudia neppure le
sue tortuose strade della magia e delle fattucchiere, rispettate, secondo il
dovuto, e consultate alla bisogna. In merito ai personaggi, abbiamo detto che
si tratta di quattro industriosi cittadini, che, a margine delle rispettive
attività, realizzano uno di quei sogni nel cassetto che sono poi il sale della
vita: un complesso musicale di blues. Non c’è miglior modo che mettere insieme
le volontà di ciascuno, oltre che la competenza, per realizzare una nuova
storia, per dare sfogo a quella parte sommersa della vita che diversamente non
riemergerebbe se non per caso e sporadicamente.
Il gruppo
blues ha anche una sua etica: si considera un microcosmo sociale, quindi si
dota di regole e di sanzioni inappellabili, nomina un presidente della band, ne
stabilisce i rispettivi ruoli e definisce il ruolino di marcia delle prove con
gli strumenti acquistati miracolosamente a Napoli con i soliti sistemi
dell’arrangiarsi: assegni postdatati, parola d’onore, guardarsi negli occhi,
tutte cose possibili in ambienti più o meno in odore di camorra. Il nome dei
Dogs poi è vero messaggio: un simbolo autentico tra i tanti caratterizzati da
opaca caducità. La compagine dei quattro amici della band – nella situazione in
cui si trova – conduce proprio una vita da cani. Ma dato che la loro allegria è
il leitmotiv dello stare insieme, il lessema finale non è poi tanto
peregrino: festa dei cani. È una sorta di risposta alla vita grama che
specularmente ci proietta la nuova società, contraddistinta da solitarie
inquietudini e di altrettanto solitarie tristezze.
Quello
che ci piace rimarcare in questo lavoro di Fragnoli è il tono dell’azione
corale svolta dagli amici: le gioie dell’uno appartengono agli altri, la
condivisione degli affetti è il mastice che li unisce, anzi ne rinsalda la
forza nei momenti di debolezza e di estraniazione. Il caso emblematico riguarda
proprio il protagonista del racconto: il prof Luca Marangoni: docente part time
di giorno, bluesman o metallaro di notte, con incursioni
artistico-critico-letterarie nei momenti di vera e autentica realizzazione. La
vita accademica del nostro intellettuale, per dir così, si svolge in maniera
impeccabile (basterebbe segnalarne la perizia nella scelta degli abiti e le sue
incursioni in area francese): la mattina presso un prestigioso liceo classico,
in cui il docente è apprezzato e stimato e anche amato non soltanto da qualche
giovane insegnante (con aspirazioni al coniugio), ma dalle allieve (con
speranze di aiutino culturale); la vita notturna, invece, rivela l’alter ego di
Luca: veste in noir, secondo le mode più bislacche, associandosi ai suoi amici,
alcuni dei quali filosofi approssimativi e commercianti sempre sull’orlo della
crisi economica.
Le serate
trascorse insieme sono accompagnate dalle più gustose chiacchierate all’aria
aperta, in riva al mare – la riviera di Ulisse – oppure dalle più
mirabolanti bevute al Mocambo o dalle plurime abbuffate pantagrueliche in
qualche rustica o blasonata hostaria nei dintorni del paesello. Le giornate di
Luca Marangoni sono l’intelaiatura, per così dire, del romanzo. Intorno a
questo protagonista si svolgono, specularmente, due vicende: la prima relativa
ai suoi numerosi amori (nessuno a buon fine, nel senso del finale coronamento
“e vissero felici e contenti”); la seconda riguardante il rapporto con gli
amici. Se le vicende diurne si snodano tra amori e amorazzi e tentativi di
accalappiamenti (infatti, si parla... di cani) da parte di questa o quella
giovane intraprendente, quelle notturne fanno registrare un’umanità narrativa
più pregnante, fors’anche perché l’occhio pietoso dell’Autore è veramente
attratto da questi tipi di paesi nella cui anima c’è la sua storia più intima e
più direttamente vissuta.
Il
romanzo, quindi, segnala nella figura del protagonista Luca una sorta di dimidiazione
e/o di trapasso epocale: da un lato, un’esistenza piccolo-medio borghese, con i
suoi riti e le sue staticità; dall’altro, il nuovo mondo dei giovani o non più
giovani, con famiglie spesso in crisi e incapaci o impossibilitati a crearne
una nuova. Il buio diventa la nuova forma di vita srotolata per lunghe ore tra
le strade, nei ritrovi o nei luoghi dove si beve e spesso si eccede. Non si
registra nelle pagine di Fragnoli il tenero tepore della famiglia, con le sue
piccole-grandi gioie; né si colgono i ritmi di un tempo ormai perduto per
sempre. Il buio diventa lo stile della nuova civiltà, il topos, l’allegoria
ultima, dove emergono più spesso l’illegalità e la violenza, dove per l’operosa
volontà dei Dogs – o di coloro come loro - non c’è spazio oppure se lo si
percepisce è soltanto un pallido spiraglio, perché non c’è più margine per i
meriti, per i sacrifici sudati e per le riconosciute competenze.
Infatti,
nella nuova stagione della società buia tutto si può comprare o sottrarre
proditoriamente. È la nuova tribù metropolitana che segna e denota lo stacco e
lo scacco – anche antropologico – con quella delle regole e del buon senso e
del rispetto per l’altro. Forse anche in questa ottica andrebbero comprese le
lunghe bevute dei Dogs o le tantissime sigarette spente e riaccese come a
sottolineare la grama esistenza del nuovo mondo. L’amicizia perciò diventa una
sorta di talismano.
Lo stare
assieme di questi giovani, quasi avvinghiati dai loro comuni destini in qualche
modo li salva e li recupera alla vita. Così come accade quando Eva e Loredana,
ambigue figure della notte, ritrovano l’amico Repsy, alias Luca, in riva al
mare, malamente ferito da quattro pallottole sparategli da camorristi per
saldare uno sgarbo patito dal loro capo clan, il Duca, per via del tradimento
della sua femmina. Il ritmo narrativo di Fragnoli si adegua – con sinuosa
fragranza - alle molteplici identità sociali e culturali dei personaggi, ne
delinea le storie con rapidi flash back e ne colora. attraverso le tinte
chiaroscurali del linguaggio, gli eccessi della prorompente vitalità o degli
intimi turbamenti.
Il fatto
che Fragnoli abbia rivisitato il suo antico romanzo sta a significare che il
lavoro di scavo per un addetto al mestiere dello scrivere è inesauribile. Vale
infatti sempre il criterio della conquista quotidiana di nuove forme e nuovi
modelli che possano essere riutilizzati per aggiornare i propri riferimenti
esistenziali e filosofici. Questo divenire diacronico è il segno tangibile che
una scrittura non risulta mai definitiva ed è sempre suscettibile di aperture,
purché lo spartito permetta le vibrazioni di una musica che coinvolga e riesca
a farci emozionare.